Idrogeno, vettore e accumulatore

È un vettore energetico e un combustibile, non produce CO2 e può costituire un sistema di accumulo delle rinnovabili.

Autore

Alessandro Lanza

Data

6 Giugno 2023

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5' di lettura

DATA

6 Giugno 2023

ARGOMENTO

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A fronte di un quadro caratterizzato dalla situazione bellica e dalla necessità di diversificare per il presente, e soprattutto per il futuro, le fonti dell’approvvigionamento energetico e accelerare il processo di transizione, è ancora più utile avere chiara la situazione attuale e le prospettive dell’impiego di idrogeno, con particolare riferimento al mercato italiano.

Un mercato che, in questo momento, è particolarmente vivo e attento alle molte possibilità tecnologiche che potranno essere sviluppate nell’arco dei prossimi dieci anni. Gran parte del problema dell’idrogeno risiede probabilmente nella poca chiarezza sul lato della domanda, e quella che potrebbe sembrare una transizione energetica potrebbe in realtà non avere le caratteristiche che con troppa semplicità le stiamo attribuendo.

La questione non è banalmente nominalistica: chiamare le cose con il proprio nome è fondamentale per affrontare le difficoltà che ci troviamo davanti.

L’obiettivo principale a cui ora dobbiamo tendere è la decarbonizzazione e l’idrogeno, valutato nel contesto giusto e insieme ad altri strumenti, può senza dubbio rappresentarne uno valido per raggiungere questo scopo.

Tuttavia da solo non può essere considerato la panacea di tutti i guai energetici che ci affliggono e, soprattutto, non ci esonera dal dover attuare una politica molto attenta al controllo delle emissioni e all’efficientamento energetico riducendo parallelamente l’uso delle fonti fossili.

Solo se riusciremo a inquadrare la questione dell’idrogeno in questo contesto, e a capire che si tratta di un piccolo mattoncino all’interno di una costruzione più complicata, riusciremo, forse, nel prossimo futuro a ridurre il nostro impatto sul pianeta, per riservare a noi e ai nostri figli e nipoti un futuro meno drammatico. 

Discutendo di decarbonizzazione non dovremmo mai dimenticare che il mondo consuma tutti i giorni circa 95 milioni di barili di petrolio, 20 milioni di tonnellate di carbone e 11 miliardi di metri cubi di gas. Partendo da queste solide basi l’idrogeno deve essere considerato come un tassello di una più ampia politica tesa alla decarbonizzazione dell’offerta complessiva di energia.

In un mondo che, nonostante le troppe parole, rimane ancora strettamente legato alle fonti fossili, disporre di uno strumento come l’idrogeno può rappresentare una ulteriore freccia nella faretra del policy maker.

Non che l’idrogeno possa essere risolutivo come talvolta appare in questo scalcagnato dibattito, nondimeno potrebbe giocare un ruolo importante nei prossimi venti o trent’anni.

Partiamo da alcune considerazioni:

  • l’idrogeno non è una fonte di energia ma un vettore;
  • l’idrogeno è un combustibile;
  • la combustione dell’idrogeno non produce CO2;
  • l’idrogeno può costituire un sistema di accumulo dell’energia rinnovabile.

L’idrogeno non è una fonte di energia ma un vettore. L’idrogeno che serve per produrre energia è dunque quello molecolare, gassoso, con formula H2. È una molecola nota da più di duecento anni (fu scoperta da Henry Cavendish nel 1766) e quando viene combusto libera energia producendo soltanto acqua. Un gas incolore, inodore e non velenoso. È molto leggero, circa 15 volte più leggero dell’aria. Se fosse disponibile sulla Terra in forma elementare si disperderebbe nello spazio, e infatti è l’elemento più abbondante nell’universo. Allo stato elementare si trova solamente nelle emissioni vulcaniche, nelle fumarole, nelle sorgenti petrolifere.

Sfortunatamente sulla Terra in pratica non esistono «giacimenti» di idrogeno molecolare (con rarissime eccezioni), così come invece accade per i combustibili fossili: in definitiva siamo in presenza di una molecola abbondante in natura, ma solo combinata con altri atomi di ossigeno o carbonio a formare rispettivamente acqua o metano. Per questo semplice fatto l’idrogeno non è una fonte primaria di energia, ma un «vettore energetico». Questo significa che, in una certa misura, l’idrogeno è un elemento in grado di trasferire energia: consente di accumulare l’energia proveniente da un’altra fonte, primaria o secondaria, e di trasferirla nel tempo, rilasciandola al momento opportuno.

Un vettore di energia non deve quindi essere confuso con le fonti di energia come il petrolio, perché a differenza di queste ultime non si caratterizza per una produzione ex novo bensì – come sottolineato – per un semplice trasferimento. Nella fase di trasferimento e di accumulo dalla fonte energetica al vettore energetico è sempre presente una percentuale di perdita, in ossequio a uno dei principi base della termodinamica.

L’idrogeno è un combustibile. Allo stato gassoso l’idrogeno è un ottimo combustibile: quando viene bruciato produce una quantità di calore 2,6 volte superiore a quella prodotta bruciando una quantità equivalente di metano.

Quando viene a contatto con la maggior parte dei metalli elementari forma idruri, ossia dei composti solidi, rendendoli così più fragili. Se lo si raffredda alla temperatura di –253 °C, l’idrogeno diventa liquido e, in questo stato, non reagisce più in modo chimico con i metalli. Per questo motivo si preferisce trasportarlo in forma liquida.

Il fatto che sia un buon combustibile non significa necessariamente che venga utilizzato per produrre energia attraverso la combustione. Sebbene i primi veicoli a quattro ruote (stento a chiamarli vetture) alimentati con idrogeno siano stati costruiti nei primi anni dell’Ottocento, le fuel cells, o celle a combustibile, rappresentano ancora la soluzione più efficace per impiegare l’idrogeno nel settore dell’autotrazione. E anche in questo caso l’idrogeno non viene combusto.

A partire dai primi esperimenti appena citati l’idea che l’idrogeno potesse essere la fonte energetica del futuro si impose rapidamente. E le relative tecnologie non tardarono a svilupparsi. Prima della diffusione del metano (avvenuta molto più tardi) esisteva in molte città italiane ed europee la distribuzione del cosiddetto «gas di città» ottenuto per distillazione del carbone. Il 50% della miscela ottenuta era composta da idrogeno. Già alla fine del XVIII secolo Londra era illuminata con syngas.

Un altro esempio di utilizzo è rappresentato dai dirigibili. Sviluppati dall’Ottocento fino ai primi anni Trenta del Novecento i dirigibili sfruttavano proprio le caratteristiche fisiche dell’idrogeno. Inventati dai francesi nel 1850, sostituirono progressivamente le mongolfiere. Nel 1900 venne sviluppato il dirigibile ad armatura rigida, precursore degli odierni aeroplani. La loro carriera commerciale fu tuttavia molto breve, ovvero meno di un decennio.

I modelli più diffusi su tutto il continente erano di produzione tedesca: gli Zeppelin che collegavano l’Europa e gli Stati Uniti in cinque giorni alla velocità di 100 km/h. Negli anni Trenta oltre 50.000 furono i passeggeri trasportati da servizi di linea. Malgrado il loro involucro rigido, i dirigibili erano parecchio vulnerabili (soprattutto in condizioni atmosferiche critiche). Il de profundis commerciale avvenne il 6 maggio 1937 con la tragedia dell’Hindenburg che cadde e si incendiò in fase di atterraggio a New York. Nell’incendio, rapidissimo e documentato, morì la metà dei passeggeri imbarcati. Al di là delle molte polemiche mai sopite e mai risolte relative alle ragioni per le quali lo Zeppelin venne distrutto dal fuoco, dal nostro punto di vista è importante sottolineare che il dirigibile era appunto alimentato a idrogeno. Un combustibile, dunque, da trattare con estrema cura.

La combustione dell’idrogeno non produce CO2.  Sappiamo da oltre duecento anni che quando l’idrogeno brucia si libera energia, proprio come accade quando si bruciano gas naturale, petrolio o carbone. La grande differenza è che l’uso dei combustibili carboniosi (tra cui i combustibili fossili) produce anidride carbonica mentre quello dell’idrogeno produce soltanto acqua. Per questa specifica caratteristica negli ultimi anni il tema dell’idrogeno è tornato di gran moda.

Dell’uso delle fuel cells per l’autotrazione si è già detto: questa modalità prevede l’utilizzo di idrogeno per generare energia elettrica direttamente a bordo delle vetture in un processo di conversione che non produce sostanze inquinanti. Nelle celle a combustibile infatti l’idrogeno, contenuto in uno o più serbatoi, viene fatto passare attraverso specifiche celle e opportunamente combinato con l’ossigeno contenuto nell’aria. Questo processo genera energia elettrica e calore producendo come unica sostanza ‘di scarto’ del semplice vapore acqueo. Si è anche detto che per poter utilizzare l’idrogeno, la cui combustione non genera CO2, è necessario produrlo.

Se l’idrogeno venisse prodotto utilizzando una fonte fossile dovremmo anche considerare le emissioni legate alla sua produzione. Ci troviamo quindi nell’inedita situazione in cui l’utilizzo di un vettore energetico non prevede emissioni di CO2, ma la sua produzione, a seconda delle modalità, genera un certo grado di emissioni. 

L’idrogeno può costituire un sistema di accumulo dell’energia rinnovabile. Uno dei più importanti problemi connessi con l’uso dell’energia rinnovabile è legato al tema della ‘non programmabilità’. Con questo termine si intende evidenziare una delle caratteristiche proprie delle risorse rinnovabili con particolare riferimento all’energia elettrica. Resta evidente, senza ulteriore bisogno di spiegazioni, che se non c’è vento l’energia elettrica di fonte eolica semplicemente non viene prodotta. Oppure che il fotovoltaico non produce energia elettrica di notte. Per ovviare a questo rilevante problema si sono studiati i sistemi di stoccaggio: questi non sono solo legati a condizioni di emergenza come per esempio un giorno privo di vento, ma anche alla naturale non programmabilità, ovvero il ciclo giorno/notte.

Lo stoccaggio è un tema molto complesso e non va necessariamente inteso come un semplice sistema di batterie da caricare quando l’energia elettrica è abbondante, e magari a buon mercato, da utilizzare per esempio di notte. Un sistema sperimentato da moltissimi anni prende il nome di ‘pompaggio’ e consiste nell’utilizzare energia elettrica per riportare a monte, con apposite pompe idrauliche, l’acqua che dopo aver prodotto energia elettrica attraverso una diga si trova a valle della stessa. Di fatto si tratta di turbine reversibili. Quando serve energia elettrica l’acqua passa dal bacino superiore a quello inferiore, attraverso la turbina che genera elettricità. Quando c’è un eccesso di energia, l’elettricità aziona la turbina che, girando in senso contrario (appunto come pompa), solleva l’acqua dal bacino inferiore a quello superiore. Di fatto l’energia elettrica viene convertita in energia potenziale. Questo meccanismo trova applicazione in tutte quelle situazioni ormai molto frequenti in cui i prezzi dell’energia elettrica cambiano durante le ore di una giornata. Quando la domanda di energia elettrica è alta tipicamente i prezzi sono più elevati e questo accade durante le ore del giorno, mentre di notte il prezzo dell’energia elettrica diminuisce vistosamente.

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