Idee aperte: la partecipazione nel carcere di Bollate

Idee in Fuga. Un’esperienza di democrazia partecipativa nel carcere di Bollate.

Autore

Cecilia Mezzano, Stefano Stortone

Data

29 Aprile 2024

AUTORE

TEMPO DI LETTURA

7' di lettura

DATA

29 Aprile 2024

ARGOMENTO

CONDIVIDI

Nel 2019, la casa di reclusione di Bollate ha accolto la proposta di un gruppo di ragazzi appartenenti all’impresa sociale BiPart di sperimentare un progetto un po’ diverso dal solito. Così è entrato in carcere Idee in Fuga, un processo di democrazia partecipativa, finalizzato a coinvolgere detenuti e detenute in un’esperienza volta a migliorare la vita della comunità carceraria. Nato dall’esperienza e dalle competenze di BiPart, Idee in fuga è diventato un progetto comunitario, grazie alla disponibilità di professionisti di diversi settori che hanno messo a disposizione competenze, tempo e risorse a titolo completamente gratuito, tra cui gli autori di questo articolo.

Il carcere

Attiva dal 2000, la casa di reclusione di Bollate ospita in media 1200 persone, tra uomini e donne, suddivisi in otto reparti nella sezione maschile e in due in quella femminile.

Da sempre è riconosciuto a livello nazionale come modello virtuoso, che punta all’inclusione sociale dei detenuti proponendo un sistema di custodia attenuata, grazie al quale detenuti e detenute possono muoversi con un certo grado di libertà: le porte delle celle vengono chiuse solo la sera. 

Diversi ospiti beneficiano dell’articolo 21, che permette di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative o formative, ritornando in cella la sera. E dentro le mura esistono numerosi e ampi spazi dedicati alle attività lavorative svolte da detenuti e detenute che alimentano l’economia carceraria. 

Vige un modello di sicurezza fondato sulla conoscenza dei detenuti, piuttosto che sulla costante vigilanza fisica da parte della Polizia Penitenziaria. Così, ciascuno si assume la responsabilità di recarsi solamente dove gli è consentito, lavorando sul proprio senso di autonomia e di responsabilità. 

Idee in Fuga

Il progetto si è da subito proposto come punto di contatto tra dentro e fuori.

Una prima ispirazione è venuta dal Bilancio Partecipativo, strumento attraverso il quale la Pubblica Amministrazione coinvolge i cittadini nel processo decisionale legato alla distribuzione delle risorse pubbliche. Oltre a mettere in luce nuovi bisogni e permettere di scoprire nuove risorse, questo strumento è una spinta per costruire e rafforzare le relazioni sociali e di fiducia reciproca.

I detenuti sono stati coinvolti in ogni fase del processo, dalla coprogettazione alla gestione del percorso, e sono stati protagonisti attivi delle discussioni, del co-design e della presentazione di idee progettuali utili alla comunità.

Diversamente dal tipico Bilancio Partecipativo, tuttavia, non avevamo un budget messo a disposizione dalle istituzioni per finanziare le proposte emerse; così abbiamo pensato al crowdfunding come soluzione utile anche per ‘aprire’ le porte di Bollate ai cittadini, chiamati a contribuire alla realizzazione di progetti utili alla comunità carceraria.

Per animare e coinvolgere la comunità fuori dalle mura, abbiamo attivato diverse partnership, organizzato eventi di presentazione del progetto, coinvolto testimonial, sostenitori e potenziali finanziatori e realizzato una call per artisti ispirata al tema ‘partecipazione e libertà’. L’approccio del Bilancio Partecipativo e il coinvolgimento attivo della popolazione carceraria da un lato, e l’uso del crowdfunding e delle azioni di animazione esterne al carcere rivolte ai cittadini dall’altro, hanno consentito di creare nuovi spazi di comunità, superando la ristrettezza data dalle sbarre, costruendo un ponte tra il mondo dentro e il mondo fuori dal carcere.

Il percorso e le idee

Il processo è durato circa dieci mesi e si è articolato in sei fasi: dall’ideazione delle prime proposte fino alla votazione finale. In ogni fase decisionale e operativa la partecipazione della popolazione carceraria – sempre libera – è stata centrale.

Per evitare che le differenze numeriche tra le ospiti della sezione femminile e quelli della sezione maschile incidessero sulla distribuzione del budget abbiamo sviluppato due processi partecipativi paralleli.

In carcere tutto funziona in modo molto lento e ‘analogico’. Ci sono molti orologi nei corridoi, ma la maggior parte è ferma. Le informazioni vengono condivise prevalentemente per passaparola e le richieste dei detenuti devono sempre passare dalla consueta ‘domandina’, ovvero l’istanza inoltrata dal detenuto all’amministrazione per essere autorizzato allo svolgimento di qualsiasi attività o al conseguimento di un interesse o bisogno. Abbiamo lavorato con carta, penna e post-it.

Per prima cosa abbiamo incontrato gli ospiti di ciascun reparto per fare emergere bisogni, punti di vista e possibili risposte ai problemi individuati direttamente ai detenuti e le detenute intervenuti. Per fare in modo che le idee nate in ciascun reparto potessero circolare liberamente abbiamo permesso il non facile incontro tra i rispettivi rappresentanti tramite un’assemblea inter-reparto. Una commissione tecnica creata per il progetto – composta da rappresentanti dell’istituzione carceraria, dei detenuti che si occupano della manutenzione e dai facilitatori – ha avuto il compito di identificare le idee non fattibili in partenza, così da portare avanti solo quelle con un potenziale in termini di impatto e realizzabilità. Abbiamo facilitato la co-progettazione che ha portato a unificare alcune proposte per superare la selezione. Ciò ha previsto collaborazione, scambio, alle volte scontri, altre coesione.

Dal processo sono nate 58 proposte: 47 dai reparti maschili e 11 da quelli femminili. Tra queste, quelle più condivise sono state progettate e portate al voto finale, dove è stata definita la graduatoria finale, con le tre idee progettuali vincitrici. Tutte le idee votate si possono consultare sul sito dedicato al progetto. Alcune erano orientate a riqualificare o manutenere alcuni spazi del carcere, molte avevano a che fare con la possibilità di lavorare, generare economia e poter avere un ruolo attivo nella propria vita e nella comunità. E non poteva, forse, accadere diversamente se si pensa che tra le particolarità che rendono rinomato l’istituto di Bollate c’è proprio la centralità del tema lavoro per il reinserimento nella società.

Nel reparto femminile ha raccolto maggiori consensi un progetto – Bar in Area Colloqui – finalizzato a realizzare all’interno dell’area colloqui femminile un bar gestito dalle stesse detenute che, attraverso l’apertura di un’associazione, intendono generare economia e guadagnare, formarsi e acquisire esperienza in vista del ritorno alla vita fuori.

Nella sezione maschile ha raccolto la maggior parte dei voti due idee, entrambe volte a supportare il reingresso nel mondo del lavoro e a valorizzare le competenze professionali degli ospiti di Bollate. Job Center mira a facilitare l’incontro tra domanda e offerta lavorativa per i detenuti o i futuri ex-detenuti. Ponte dentro e fuori intende dotare i detenuti delle competenze richieste dal mercato del lavoro attraverso l’attivazione di corsi di formazione e diventare un punto di riferimento per le aziende fuori interessate a lavorare con chi sta dentro.

Il valore della partecipazione in carcere

Solitamente, chi è in carcere da un po’ si limita a subire passivamente o quasi le procedure e le iniziative proposte, con l’obiettivo di essere valutato ‘cooperativo’ e idoneo a permessi o sconti di pena.

A Bollate, in realtà, il coinvolgimento dei detenuti in alcune commissioni (per esempio, quella cultura) è pratica ordinaria ormai e probabilmente per questo il nostro progetto è stato accolto con entusiasmo, come occasione educativa e di crescita nel senso ampio del termine. Tuttavia, Idee in Fuga ha concesso di allargare ulteriormente le maglie del coinvolgimento dei detenuti, condividendo il potere decisionale su temi e ambiti in cui normalmente questa condivisione non è prevista.

La democrazia partecipativa è di per sé un esercizio di uso responsabile della libertà: libertà di proporre, di dare voce ai propri bisogni e alle proprie idee e visioni; di contribuire alla realizzazione di progetti volti al bene comune.

L’esperienza ha, quindi, un fortissimo valore riabilitativo dal punto di vista sociale e, insieme, personale.

Il percorso ha visto un buon grado di partecipazione, quasi un terzo si è lasciato coinvolgere attivamente dall’iniziativa e il 46% degli aventi diritto è arrivato fino alla fase del voto. Un risultato interessante, se si considera che partecipazione e accesso al progetto sono sempre stati liberi.

Purtroppo, nel febbraio 2020 la pandemia ha impedito la votazione finale e l’avvio della successiva campagna di crowdfunding, volta a raccogliere le risorse necessarie.

La votazione è stata, quindi, organizzata in sordina un anno dopo, e nel rispetto della ‘distanza sociale’ si è cercato di far andare avanti fin dove possibile la realizzazione dei progetti che avevano raccolto maggiori consensi, provando in qualche modo di ‘superare’ l’imprevisto del Covid-19.

Alcune riflessioni

Entrare in carcere da persona libera, consapevole del fatto che se ne possa andare quando vuole, non fa sentire prigionieri. Eppure, una volta dentro, quando documenti e cellulare restano negli armadietti in portineria e quando la porta dietro di te viene chiusa a tripla mandata tutto diventa più pesante.

I primi tempi giravamo per i reparti per proporre il progetto a detenuti e detenute inizialmente diffidenti e prevenuti, ma che con il passar del tempo sono diventati sempre più fiduciosi ed entusiasti, curiosi e pronti al dialogo, con una grandissima voglia di inventare qualcosa di senso e utile. Con molta voglia di fare. Alcune delle relazioni nate con questo progetto hanno avuto un impatto di valore per i detenuti. E nonostante i limiti derivata dalla pandemia da Covid-19, l’esperienza ci ha confermato che il modo migliore per essere ‘abilitati’ a vivere in una società democratica è avere la libertà di sperimentare e partecipare la bellezza della democrazia. Chi ha partecipato al percorso ha acquisito maggiore coscienza civica, consapevolezza, autonomia e senso di responsabilità delle proprie scelte.

L’approccio partecipativo e dal basso ha sicuramente portato un valore aggiunto sotto tanti aspetti ma resta, purtroppo, un ‘esperimento’. E così, mentre cerchiamo un modo per rendere sostenibile questo genere di processi, sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale, dobbiamo accontentarci di esperienze ristrette.

Leggi anche
Politiche
Radici
20′ di lettura

Rischio assicurato

di Dionisio Perez Blanco, Jaroslav Mysiak
Politiche
Editoriali
9′ di lettura

Sostenibilità e complessità

di Sebastian Alessandro Raimondo
Politiche
Editoriali
5′ di lettura

Gli attori privati per l’Agenda 2030

di Eric Rosenthal
Società
Viva Voce

Web e social media data: la brand reputation nell’era della sostenibilità

di Federica Carbone
Economia
Viva Voce

Abbigliamento circolare per l’outdoor

di Giulio Piovanelli
5′ di lettura
Scienza
Viva Voce

La bioeconomia che verrà

di Stefano Bertacchi
4′ di lettura
Società
Viva Voce

La sfida delle monete complementari italiane 

di Cristina Toti
8′ di lettura
Scienza
Viva Voce

Virus biotech per la medicina

di Stefano Bertacchi
5′ di lettura
Clima
Viva Voce

Recupero di terre rare da RAEE: progressi e criticità

di Sergio Corbetta, Enrico Folin
5′ di lettura

Credits

Ux Design: Susanna Legrenzi
Grafica: Maurizio Maselli / Artworkweb
Web development: Synesthesia