La sostenibilità delle politiche ambientali

Le politiche ambientali possono implicare dei costi per i cittadini. Questo può contribuire al successo di forze politiche non ambientaliste, minandone la sostenibilità.

Autore

Italo Colantone

Data

9 Gennaio 2024

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5' di lettura

DATA

9 Gennaio 2024

ARGOMENTO

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I costi delle politiche ambientali 

Il contrasto ai cambiamenti climatici e la difesa dell’ambiente sono delle priorità per molti governi e amministratori pubblici. Allo stesso tempo, adottare delle politiche ambientali è spesso difficile da un punto di vista politico. Questo perché le politiche ambientali spesso generano per i cittadini dei costi significativi, che tendono peraltro a essere distribuiti in maniera diseguale nella popolazione. Sono spesso proprio le fasce meno abbienti che tendono a subire l’impatto maggiore di queste politiche, almeno in termini relativi al proprio reddito. È quella che si chiama regressività delle politiche ambientali. I costi indotti dalle politiche ambientali, e la loro natura diseguale, possono generare malcontento tra i cittadini. Questo malcontento può poi avere delle ripercussioni sul comportamento di voto, contribuendo al successo di forze politiche non ambientaliste. Questo processo può minare la sostenibilità politica delle politiche ambientali stesse, che potrebbero non sopravvivere al ciclo elettorale, oltre a rendere più difficile l’implementazione di ulteriori iniziative verdi negli anni a venire.

Gli aspetti politici delle politiche ambientali 

Cosa sappiamo degli aspetti politici delle politiche ambientali? Una parte della letteratura accademica si è focalizzata sugli aspetti di politica internazionale, e in particolar modo sui problemi legati alla cooperazione internazionale tra governi. L’idea di fondo è che nessun Paese singolarmente possa risolvere il problema dei cambiamenti climatici. Un’azione efficace richiede un coordinamento tra governi. È importante quindi comprendere come questo coordinamento possa essere incoraggiato e reso efficace. Allo stesso tempo, c’è sempre più consapevolezza del fatto che ciascun governo democratico, anche per agire a livello internazionale, abbia bisogno di un mandato forte da parte dell’opinione pubblica e dell’elettorato nazionali. Un numero crescente di studi sta quindi investigando quali siano i fattori che portano i cittadini a supportare le politiche ambientali, e i partiti politici che ne propongono l’implementazione. Questi fattori comprendono caratteristiche demografiche, quali età e istruzione, che rendono gli individui più o meno ambientalisti. Un ruolo importante è giocato anche dagli aspetti economici. Uno studio recente pubblicato su ‘Nature Climate Change’ (‘NCC’) mostra, ad esempio, come individui residenti in aree più esposte alla conseguenze negative della concorrenza internazionale votino meno per partiti ambientalisti1. L’idea, molto intuitiva, è che i temi ambientali perdano importanza per i cittadini nel momento in cui essi si trovano a dover affrontare problemi economici più immediati. Allo stesso tempo, altri studi mostrano come l’esperienza diretta di eventi climatici estremi faccia crescere la consapevolezza dell’importanza delle politiche ambientali. Ad esempio, un altro studio pubblicato di recente su ‘NCC’ mostra che i cittadini europei esposti a eventi climatici estremi nella zona di residenza hanno una maggior probabilità di votare per un partito verde alle elezioni successive2.

Un ambito ancora poco studiato è quello delle conseguenze politiche delle politiche verdi. Ovvero, cosa succede una volta che le politiche verdi vengono implementate? C’è un cambiamento nel comportamento di voto da parte dei cittadini che subiscono dei costi? Quali sono i partiti che se ne avvantaggiano? 

Il caso dell’Area B di Milano 

In uno studio pubblicato su American Political Science Review, ho affrontato proprio queste domande di ricerca insieme ai colleghi Livio Di Lonardo, Yotam Margalit e Marco Percoco3. Il caso di studio è l’Area B di Milano: un’area a traffico limitato che copre il 72% della città di Milano, e in cui vive il 97% dei cittadini milanesi. La circolazione all’interno di quest’area è proibita per i veicoli più inquinanti. L’iniziativa è stata annunciata dal sindaco sostenuto dal Partito Democratico Beppe Sala nel luglio del 2018, e implementata a partire dal febbraio del 2019. Le prime restrizioni hanno riguardato le auto a Benzina Euro 0 e le Diesel da Euro 0 a Euro 3. Nell’ottobre del 2019 il divieto di circolazione è stato esteso alle auto Diesel Euro 4, portandoci alla situazione riassunta in Figura 14.

Figura 1 – Rappresentazione grafica dell’impatto dell’Area B al momento in cui lo studio è stato effettuato. Le auto in rosso sono bandite. Quelle in verde possono circolare.

L’Area B è un tipico esempio di politica ambientale regressiva. Tutti i cittadini di Milano ne beneficiano, ma solo alcuni ne pagano il costo. I ‘perdenti’ della politica sono i possessori di auto relativamente più vecchie e quindi più inquinanti. Tendenzialmente si tratta di persone con reddito più basso, che si trovano costrette a cambiare auto per poter continuare a circolare in città. Inevitabilmente l’iniziativa è stata percepita come ingiusta e ha generato un dibattito politico molto acceso. Il partito maggiormente contrario all’iniziativa è stato la Lega, che ha insistito molto sul fatto che le fasce meno abbienti della popolazione fossero particolarmente svantaggiate dall’Area B.

Nello studio abbiamo raccolto dati di sondaggio su un campione di circa mille cittadini residenti nell’Area B di Milano. Abbiamo quindi confrontato un gruppo di individui ‘trattati’, ovvero persone che possedevano un’auto bandita dalla circolazione, con un gruppo di individui di ‘controllo’, ovvero persone che possedevano auto relativamente simili, ma non bandite dalla circolazione. 

Il risultato principale è rappresentato dal fatto che i cittadini negativamente colpiti dall’Area B abbiano mostrato una probabilità molto maggiore di votare per la Lega alle elezioni successive all’introduzione del bando. Dalle risposte ai quesiti posti nel sondaggio, queste persone non sembrano in realtà essere diventate meno ambientaliste. Ciò che esprimono è piuttosto un disappunto per il modo in cui l’iniziativa è stata disegnata e implementata. In linea con questo dato, un risultato interessante è che gli individui che hanno ricevuto una qualche forma di compensazione da parte dell’amministrazione comunale (ad esempio, un sussidio per l’acquisto di una nuova auto) non abbiano mostrato lo stesso tipo di reazione politica. 

Conclusioni 

In conclusione, nell’ottica di migliorare l’accettabilità e la sostenibilità nel tempo delle politiche ambientali, è fondamentale tener conto delle loro conseguenze redistributive. Nella misura del possibile, occorre cercare di distribuire i costi tra la popolazione in maniera diffusa, evitando la creazione di gruppi ristretti di ‘perdenti’, a maggior ragione se questi perdenti rappresentano già dei segmenti sociali economicamente più vulnerabili. Laddove non sia possibile evitare dei costi socialmente concentrati, è importante prevedere dei meccanismi di compensazione generosi e facilmente accessibili anche da un punto di vista burocratico.

La transizione verso un’economia e una società più verdi è di vitale importanza. Perché abbia luogo con successo occorre gestirla in modo equo e inclusivo.

Note

  1. C. Bez, V. Bosetti, I. Colantone et al., Exposure to international trade lowers green voting and worsens environmental attitudes, in ‘Nature Climate Change’, vol. 13, 2023, pp. 1131-1135. 
  2. R. Hoffmann, R. Muttarak, J. Peisker et al., Climate change experiences raise environmental concerns and promote Green voting. In ‘Nature Climate Change’, vol. 12, 2022, pp. 148-155. 
  3.  I. Colantone, L. Di Lonardo, Y. Margalit, M. Percoco, The Political Consequences of Green Policies: Evidence from Italy, in ‘American Political Science Review’, 2023, pp. 1-19.
  4. Ulteriori restrizioni sono state introdotte successivamente al momento in cui lo studio è stato effettuato.
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