Un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con l’Università di Stoccolma e l’ETH di Zurigo, ha identificato i meccanismi che controllano il trasporto nell’Artico del black carbon, un inquinante atmosferico che contribuisce al riscaldamento climatico. In questa regione polare la sua concentrazione dipende da diversi meccanismi che ne controllano il trasporto dalle medie latitudini, cioè dalle regioni dove è situata la maggior parte delle sorgenti. Finora sconosciuti, oggi questi meccanismi sono stati svelati dai ricercatori che hanno misurato per oltre quattro anni in modo continuativo la concentrazione di black carbon in Artico, studiando come la sua concentrazione cambia nel tempo.
La ricerca ha utilizzato un modello di machine learning, ovvero una tecnica di intelligenza artificiale che ha contribuito ad analizzare le misure raccolte presso l’osservatorio atmosferico di Gruvebadet, nelle isole Svalbard. «Abbiamo misurato la concentrazione atmosferica di black carbon in modo continuativo, ovvero sia durante il giorno che la notte polare, a partire dal 2018, per oltre quattro anni, osservando che le concentrazioni di black carbon mostrano una forte variabilità stagionale, con valori maggiori tra dicembre e aprile», prosegue Mauro Mazzola, coautore dello studio e ricercatore Cnr-Isp. «Abbiamo scoperto che questa variabilità dipende dalla frequenza e intensità delle piogge, che sono maggiori tra maggio e novembre, periodo in cui le concentrazioni di black carbon sono minori, dato che le piogge rimuovono efficacemente questo composto dall’atmosfera prima che questo possa raggiungere le regioni polari».
All’interno di una stessa stagione, i ricercatori hanno inoltre rilevato differenze nella concentrazione di black carbon che dipendono dalla temperatura e dai fenomeni meteorologici.
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