Il mondo concentrato in un punto

La zattera della Medusa di Géricault, tela conservata al Louvre, contiene una pluralità di mondi, un po’ come fosse un buco nero che risucchia dentro di sé tutto ciò che ha intorno.

Autore

Enrico Chiarugi

Data

4 Marzo 2024

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6' di lettura

DATA

4 Marzo 2024

ARGOMENTO

PAROLE CHIAVE


Storia

Società

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Nel suo libro Opere mondo. Saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine (1994) lo studioso Franco Moretti analizza una categoria di opere che possono essere definite ‘monumenti’ e ‘testi sacri dell’Occidente moderno’: oltre ai due libri citati nel titolo, sono oggetto di analisi Moby Dick, Bouvard e Pécuchet, l’Ulisse, Foglie d’erba, i Cantos, La terra desolata, L’uomo senza qualità, ma anche L’anello del Nibelungo di Wagner. Opere non necessariamente perfette, secondo l’autore, ma che si distinguono dalle altre per l’ambizione di contenere tutto, citare tutto, dire tutto. C’è un eccesso di ‘cose’ dentro queste creazioni che le sottrae a ogni classificazione stringente: per loro natura, sono debordanti e superano i confini conosciuti (e dati per scontati) fino al momento della loro apparizione.

Come le opere letterarie studiate da Moretti, anche La zattera della Medusa di Théodore Géricault, tela conservata al Louvre, contiene una pluralità di mondi compressi nei 491 x 716 centimetri della sua superficie; un po’ come un buco nero che risucchiasse dentro di sé tutto ciò che ha intorno. A partire dagli spettatori, che davanti a un quadro che per le sue dimensioni si trova collocato, quasi obbligatoriamente, a poca distanza da terra (ma non era così nel Salon del luglio 1819, quando l’opera, iniziata poco più di un anno prima, fu esposta al pubblico) si sentono issati di peso a bordo della zattera; questo in virtù della sua posizione che sembra voler forzare i bordi della tela, della composizione che utilizza marcate linee diagonali, delle dimensioni e quindi della vicinanza, quasi fisica, dei corpi dei naufraghi.


Jean-Louis André Théodore Géricault, La zattera della Medusa, 1819, olio su tela, 491 x 716 cm, Museo del Louvre, Parigi

Anche noi siamo lì dentro, all’interno di un dramma realmente avvenuto nel luglio 1816, solo due anni prima che Géricault lo scegliesse come soggetto del suo capolavoro; un fatto di cronaca che agitò la Francia (e non solo) e che l’artista trattò con la dignità di un evento storico cruciale. 

Lo dicono innanzi tutto le dimensioni della tela utilizzata, meritevole di ospitare un soggetto ‘nobile’ come l’incoronazione di un imperatore o una grande vittoria in battaglia. Il primo piano di lettura del quadro è quindi quello della realtà. Del resto Géricault si documentò in modo quasi ossessivo su quanto era avvenuto, con l’obiettivo di cogliere una verità fattuale incontrovertibile; una verità che peraltro era già emersa dalle testimonianze scomode di alcuni sopravvissuti. E i fatti sembrano poter parlare da soli. Mentre era diretta in Senegal, la fregata francese Méduse si incagliò lungo le coste della Mauritania per l’imperizia colpevole del suo comandante. Solo dopo che i tentativi di liberarla andarono a vuoto, fu abbandonata dai passeggeri e dall’equipaggio: in tutto 400 persone circa, tra cui anche il nuovo governatore del Senegal e la sua famiglia, i militari che lo seguivano e un gruppo di coloni di varie nazionalità.  Dato che le sei scialuppe della Méduse non potevano contenere tutti coloro che si trovavano a bordo, si procedette a costruire una zattera di fortuna, su cui presero posto, in un’area di soli 20 x 7 metri, circa 150 naufraghi: soprattutto marinai e soldati semplici e quasi tutti i coloni – una pura divisione fra le classi. 

Il convoglio però procedeva a fatica, rallentato dal peso della zattera, per cui fu slegata o tagliata la cima che la teneva assicurata all’ultima scialuppa. La zattera andò così alla deriva per tredici giorni. A bordo si scatenarono violenze inaudite e si verificarono anche episodi di cannibalismo. Quando fu avvistata dalla nave Argus, ormai la zattera della Méduse aveva a bordo solo 15 sopravvissuti, 5 dei quali morirono dopo pochi giorni. 

Nel XIX secolo, in un’epoca in cui i giornali e l’opinione pubblica diventavano di giorno in giorno sempre più rilevanti, il fatto non poteva certo restare nascosto. Anche perché sulla zattera si trovavano l’ingegnere e geografo Alexandre Corréard e il chirurgo Henri Savigny, che non solo sopravvissero alla tragedia, ma la rivelarono subito su un giornale antiborbonico (si era nella Francia della Restaurazione di Luigi XVIII) e poi, a novembre del 1817, in un libro che ebbe più edizioni. L’emozione fu molto forte e portò, fra l’altro, a una pubblica raccolta di fondi per i sopravvissuti. In parallelo, anche lo scandalo fu enorme, amplificato successivamente dalla mite pena carceraria cui fu condannato il comandante, un nobile monarchico.

Non solo i fatti, quindi, ma anche la denuncia dei fatti entrano, insieme, all’interno del quadro, che si basa su uno studio scrupoloso delle ‘fonti’ da parte di Géricault, il quale incontrò a più riprese Savigny e Corréard per raccogliere informazioni di prima mano. Inoltre, con l’aiuto del carpentiere della nave (di cui il pittore realizzò un ritratto conservato al Museo di Belle Arti di Rouen) venne ricostruita la forma precisa della zattera, rappresentata poi con un modellino in legno. Anche la natura fu ‘interrogata’ da Géricault: vari viaggi sulla costa, soprattutto a Le Havre, gli permisero di studiare le forme, i movimenti e i diversi colori delle onde del mare. 

La lista delle cose che sono presenti in questa composizione è davvero lunghissima: il macabro omaggio all’amico Delacroix, raffigurato morto nell’angolo in basso a sinistra della zattera; una citazione dell’episodio dantesco del conte Ugolino, con la figura dell’uomo anziano con lo sguardo perso nel vuoto che sorregge il corpo di un giovane (evidente allusione al cannibalismo); il giovane africano, a prua, che sta chiedendo aiuto (un ‘Ritratto del modello Joseph’ è conservato presso il J. Paul Getty Museum di Los Angeles), figura che ha fatto parlare anche di un messaggio del pittore in favore dell’abolizione della schiavitù; una tavolozza dei colori molto ampia, giocata prevalentemente sull’ocra e sulle terre, cui si aggiunge anche l’uso del bitume. E si potrebbe andare ancora avanti.

Lo scandalo prodotto dall’episodio di cronaca e poi dall’opera, che ricevette sia critiche negative che entusiastiche al Salon del 1819 (dove vinse una medaglia d’oro ma non la possibilità di essere acquisita dal Louvre) concentrarono l’attenzione sulla rappresentazione critica della società e del quadro politico dell’epoca, tanto che lo storico Jules Michelet dirà poi che tutta la società francese era in qualche modo a bordo di quella zattera. 

Restringere il campo a un messaggio di denuncia non renderebbe però completa giustizia alla Zattera come esempio di ‘opera mondo’, perché ce ne darebbe soltanto una visione parziale, mentre in essa si possono evidenziare anche altri contenuti e altri  significati.

Il primo, più immediato, quasi palpabile, è quello della riflessione sul corpo come carne. In pochi altri capolavori della storia dell’arte è presente in modo così forte il corpo nella sua materialità più concreta, insieme affascinate e ripugnante. C’è qui tutto il Géricault dei disegni accademici con i nudi maschili, delle tauromachie, dei cavalli e dei cavalieri, delle coppie di amanti, dove ogni volta il pittore crea una bella torsione dei corpi che fa sprigionare forze nascoste. È il Géricault che guarda soprattutto a Michelangelo. 

Poi però, allo stesso tempo, c’è l’artista che studia, di nuovo maniacalmente, il tema della corruzione della carne in tutte le sue sfumature e gradazioni di colore. In contemporanea con la realizzazione de La zattera della Medusa (e anche negli anni immediatamente successivi) abbiamo quadri di Géricault che raffigurano arti amputati, parti anatomiche sezionate, teste di ghigliottinati. Si deve parlare di quadri veri e propri e non di semplici bozzetti di studio proprio per l’accuratezza dell’esecuzione (dai colori lividi e realistici, tra Caravaggio e Rembrandt, che l’artista trasferirà nella sua opera più grande, sui corpi dei morti e dei moribondi) ma anche per le dimensioni di alcune tele, che superano i 50 x 60 centimetri. 


Jean-Louis André Théodore Géricault, Avvistamento dell’Argus, 1818-’19 ca., olio su tela,65 x 83 cm, Museo del Louvre, Parigi.  

È una riflessione, quella di Géricault, sul lato oscuro dell’esistenza, sulla sua terribilità, ma senza alcun compiacimento romantico: è la nuda condizione umana a emergere, ne La zattera della Medusa come nel quadro Il generale Letellier dopo il suicidio (sempre del 1818) e, ancora, nella serie degli ‘alienati’ (1821-’23 ca.), cinque stupendi ritratti di donne e di uomini malati di mente (in origine i ritratti erano dieci) con gli sguardi fissi, puntati fuori dal quadro, verso qualcosa che noi non possiamo e forse non vogliamo vedere, anche perché altrimenti ci spaventerebbe.

La paura umana, unita a una flebile speranza, si concentra tutta nel punto cruciale de La zattera. Se il vertice della piramide visiva composta dalle linee della zattera e dei corpi è il panno bianco sventolato dall’uomo che si trova a prua, il vero centro di attenzione è là dove guardano tutti e dove alla fine guardiamo anche noi: là, all’orizzonte, dove si intravede appena una nave. 

Ciò che noi stiamo vedendo (e vivendo) non è quindi il salvataggio di un gruppo di naufraghi, ma la vaga possibilità che un salvataggio, per loro (e per noi), ci sia. Certo, noi sappiamo già che il salvataggio c’è stato, ma questo è successo nella realtà, in un luogo e in un tempo precisi, e non è ciò che sta accadendo ora davanti a noi, nello spazio del quadro. Dai vari studi preparatori che ci sono arrivati (qui ne mostriamo solo uno, quello più vicino al quadro del Louvre) sappiamo che Géricault arrivò alla composizione finale con un progressivo avvicinamento e dopo vari tentativi. Rappresentare la lotta a bordo e gli episodi di cannibalismo? Oppure il momento in cui la nave Argus che recupererà i naufraghi è già molto vicina? Oppure, ancora, quando una scialuppa di salvataggio è ormai accanto alla zattera? La scelta definitiva fu molto difficile.

Géricault decise prima di tutto di sottolineare la drammaticità dell’evento rappresentando la scena nella semioscurità e su un mare agitato, quando in realtà il salvataggio avvenne di giorno e con un mare calmo; unica falsificazione che si sentì autorizzato a poter fare. E poi, atto fondamentale, scelse di rappresentare la salvezza come qualcosa di estremamente lontano per gli uomini, forse di inarrivabile. 

È questo, se vogliamo, il senso più profondo del quadro. La scelta finale di Géricault porta infatti l’opera su un altro piano, fuori dalla cronaca, collocandone il significato in un punto fuori dal tempo. In quel punto è concentrato tutto: il senso della vita e della morte, della speranza e della disperazione. C’è anche una duplice, disperata richiesta di aiuto – quella dei naufraghi e la nostra. Non c’è ancora, però, la risposta.       

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