Cop 27: sfide e opportunità per il futuro

Autore

Roberta Bonacossa, Nadia Paleari

Data

29 Novembre 2022

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5' di lettura

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29 Novembre 2022

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Politica

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Si è conclusa da poco la 27°esima conferenza delle Parti sul clima delle Nazioni Unite, il vertice annuale che riunisce i leader mondiali per discutere delle sorti del nostro futuro su questo Pianeta. Un’edizione anticipata da tante discussioni e critiche, prima fra tutte la scelta della sede, l’Egitto, nella turistica Sharm el-Sheik, che tra scintillanti resort e barriera corallina non nasconde le gravi mancanze sulle tematiche dei diritti umani e le discutibili politiche a tutela dell’ambiente. 

La delegazione di Change For Planet, associazione di giovani per l’ambiente attiva in Italia dal 2020 con l’obiettivo di promuovere la partecipazione giovanile nella lotta al cambiamento climatico, ha preso parte ai negoziati nel ruolo di NGO Observer, ovvero come organizzazione riconosciuta dalla UNFCCC e ammessa all’interno della Conferenza.

La domanda che, al rientro, è stata posta più spesso è «com’è andata COP 27?».

Come accade ogni anno quando si parla di COP, l’opinione pubblica si aspetta un esito binario, che possa corrispondere alle nostre aspettative di ‘vittoria’ o ‘fallimento’. Ma è davvero così? Per rispondere a questa domanda bisogna prima comprendere il contesto in cui ci stiamo muovendo: le COP si inseriscono in una sistema di diritto internazionale e di soft law, per cui gli accordi stipulati, seppur giuridicamente vincolanti, non prevedono un sistema sanzionatorio nel caso in cui gli stessi vengano disattesi. Inoltre si tratta per lo più di equilibri geopolitici tra Stati e confronti diplomatici.  

La giustizia climatica rientra nell’agenda mondiale

Quando si parla di cambiamento climatico ci si concentra spesso sugli aspetti ambientali – inondazioni, uragani, siccità – ma chi vive questi effetti? Ci si dimentica che a contatto con la natura e con le risorse ci vivono le persone. Secondo l’IPCC infatti, entro il 2050, 216 milioni di persone saranno costrette a lasciare le proprie case a causa del cambiamento climatico, diventando migranti climatici. 

La grande vittoria della COP 27 di Sharm El Sheikh è stata proprio quella di riconoscere, per la prima volta dopo trent’anni, un sistema di compensazione e supporto da parte dei paesi più inquinanti verso i paesi più vulnerabili e colpiti dal cambiamento climatico, attraverso l’istituzione di un fondo per il Loss Damage. 

L’occasione persa

Antonio Guterres, Segretario Generale ONU, ha aperto il suo discorso iniziale a COP 27 con una frase emblematica «Siamo su un’autostrada diretti verso l’inferno climatico con il piede sull’acceleratore». Certamente una frase provocatoria rivolta ai leader politici, ma quanto distante dalla realtà? Purtroppo dalla prima COP del 1995 tenutasi a Berlino a oggi, le emissioni di CO2 in atmosfera sono passate da 360,67 ppm a 416,43 ppm (ppm = parts per million, a indicare la concentrazione di carbonio nell’atmosfera – ndr). 

La strada che abbiamo davanti in effetti è tutt’altro che in discesa, se non si intraprendono azioni concrete non sarà possibile contenere gli effetti della crisi climatica. La grande sconfitta di questa COP è stata senza dubbio proprio mancanza di un impegno concreto per la mitigazione e il contenimento delle emissioni di CO2.

E i giovani?

Per la prima volta nella storia la categoria Children & Youth ha beneficiato di un’ampia rappresentanza, riuscendo a portare le proprie istanze all’interno delle stanze decisionali.

Questo è stato possibile non solo grazie alla nomina di una President Envoy on Youth (Dr Omnia El Omrani), una rappresentante dedicata ai giovani nominata dalla presidenza di COP 27, ma anche e soprattutto grazie alla costruzione di un intero padiglione dedicato alle nuove generazioni.

Uno spazio ad hoc dove confrontarsi, creare dialogo e costruire connessione tra network giovanili operanti in tutto il globo: l’energia pulsante dello Youth Pavilion era palpabile e per tutta la durata dei negoziati si è confermata una delle zone più vitali e attive dell’intera conferenza. L’attivismo giovanile ha poi avuto un impatto sull’esito stesso della COP: nel documento finale, agli articoli 89, 93, 94 e 95 si menziona la partecipazione giovanile, incoraggiando gli Stati a includere i giovani nei loro processi di progettazione e attuazione di politica climatica.

Un esito agrodolce

Una COP che vince ma non convince, potrebbe asserire qualche commentatore calcistico (in periodo di Campionati del Mondo).

Fa passi avanti necessari, che segnano traguardi storici, ma non sufficienti per affrontare la crisi climatica. Mancanza di ambizione e tutela dell’interesse dei singoli Stati sono i freni che arenano, ancora una volta, i negoziati: ma il tempo ora sta finendo, l’orologio globale per la sopravvivenza umana ha iniziato un conto alla rovescia inesorabile che pretende un cambio di direzione e soprattutto, di mentalità, per ripensare dalle fondamenta la nostra società e i nostri stili di vita, in un’ottica di responsabilità orientata a un futuro più equo e sostenibile per tutte e tutti.

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