immanènza s. f. [der. di immanente]. – L’essere immanente, il carattere di ciò che è immanente, spec. in filosofia, dov’è in genere contrapposto a trascendenza. In partic., metodo dell’immanenza, nell’apologetica e nella teologia cattolica, dottrina che, ritenendo il soprannaturale presente nel soggetto e postulato dalla sua vita morale, vuole dimostrare la necessità delle verità fondamentali della religione rivelata muovendo dai bisogni della coscienza umana.
Quando si parla di etica c’è un’ombra che segue dappresso, ed è quella di Immanuel Kant. Per il filosofo di Königsberg l’intenzione morale è il fattore più importante nella valutazione etica di un’azione; ritenendo che tali gesta debbano essere motivate dal rispetto per il dovere morale, piuttosto che da interessi personali o conseguenze desiderate.
Tuttavia ora, dopo la tempesta del postmodernismo, lo specchio dell’identità globale si è rotto, e ci troviamo a camminare cautamente tra i frammenti di mille metanarrative in frantumi.
È necessario, forse, un nuovo modello di responsabilità?
Nemmeno quella – sempre mutuata dal pensiero kantiano – di Hans Jonas, con il suo ‘principio responsabilità’, che delega in toto alla politica e alla tecnica (intese come dispositivi esterni autopoietici di potere) il compito di controllare gli effetti dell’innovazione tecnologica appare sufficientemente efficace e accettabile.
Nel terzo decennio del nuovo millennio abbiamo ormai raggiunto un grado di consapevolezza che ci impone come esseri umani di agire noi stessi, in prima persona, come radar di attenzioni e pericoli per la società. Gli strumenti, in qualche modo, ci sono; serve la volontà e l’energia di costruirsi una nuova postura antropologica che ci ponga come agenti della responsabilità collettiva. E non solo a parole, con la preziosa divulgazione, ma con azioni ed esempi.
Dobbiamo rivolgere lo sguardo a un altro tipo di responsabilità, più vicina a quella ‘responsabilità sociale’ nella prospettiva comunitaria teorizzata dal sociologo Amitai Etzioni (recentemente scomparso), che vede le comunità come ‘reti sociali di individui’ (webs of people): legami sociali per la costruzione collettiva di una ‘voce morale’. Soltanto una ‘società responsabile’ (responsive society) – costituita da legami sociali fondati su valori condivisi – può divenire antidoto efficace al pericolo di una futuribile (e in grandissima parte già radicata) tecnocrazia. Anche perché il mondo digitale è già qui, non occorre aspettare nessuna rivoluzione messianica. La nostra coscienza collettiva deve partire da noi stessi, e confluire nel grande oceano dell’umanità.
I primi vagiti, in tal senso, si sentono anche in Italia.
Per fare un esempio pratico, uscendo dall’alveo teoretico della filosofia, due esperte di etica e governance dell’intelligenza artificiale, Diletta Huyskes e Luna Bianchi, hanno deciso di assumersi le loro responsabilità e mettersi in gioco, in prima persona.
«Abbiamo capito che l’etica, a differenza delle macchine, non è binaria. Non c’è giusto o sbagliato in assoluto nemmeno quando si tratta di tecnologia, tranne rari casi. L’etica va negoziata, adattata al contesto, fatta evolvere insieme ai valori delle società per poi lavorare per la giustizia: è immanente all’esperienza», afferma la co-fondatrice Huyskes, «a marzo 2023, abbiamo fondato Immanence – tra le prime realtà italiane la cui missione è valutare l’impatto delle tecnologie digitali esistenti (per enti privati e pubblici) – perché dopo anni di attivismo, ricerca e lavoro in azienda ci siamo rese conto che il modo migliore per assicurare lo sviluppo di tecnologie giuste, e che non discriminino nessuno, è supportare le organizzazioni che le programmano e progettano ».
Ed effettivamente lo abbiamo imparato dal Platone della lettera VII (che ammonisce sui pericoli della comunicazione scritta) fino al McLuhan esegeta dei media (come vettori di distrazione dai diversi gradienti d’intensità) che la tecnologia non è neutrale, che il design è politico e che la costruzione dei dataset che nutrono gli algoritmi è, di nuovo, ‘responsabilità’ unicamente ‘umana, troppo umana’. E come potrebbe essere altrimenti? Se noi esseri umani non siamo altro che fasci di bias e desideri, ‘trafitti da raggi di sole’, gettati al mondo contro la nostra volontà, come può esserlo la tecnologia – ponte tra noi e la natura e protesi delle nostre necessità?
Muovendo da queste convinzioni, come abitanti consapevoli dell’epoca dell’algomazione, Luna e Diletta hanno iniziato un percorso complesso per innervare di senso etico le realtà che in italia si occupano di innovazione tecnologica.
«Affianchiamo organizzazioni pubbliche e private», prosegue Bianchi «che sviluppano o usano progetti digitali, algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale (IA) per garantire etica, responsabilità e rispetto delle normative nazionali ed europee; bilanciando i rischi (come l’amplificazione dei bias), i diritti e gli interessi emergenti in base al contesto socio-tecnologico.
Tutto ciò ci permette di prioritizzare le questioni etiche e gli impatti sociali più rilevanti di ogni tecnologia, progettando valutazioni d’impatto, audit e analisi del rischio etico personalizzate per ogni cliente. Questo, in altre parole, significa valutare caso per caso: le implicazioni sono così sensibili che le aziende e PA stanno apprezzando la nostra ‘cura’ al contesto».
È una chiamata alle armi dell’intelligenza e della responsabilità, per una battaglia che occorre combattere adesso, insieme: perché ‘la campana suona per tutti’ e, come già scriveva nel 1978 Marc Porat, nel suo rapporto ufficiale sull’economia dell’informazione, ‘la questione è del tutto politica, non tecnica’.