Nel 2024 l’Italia si presenta come una nazione avanzata, con una popolazione di quasi 59 milioni di abitanti, l’ottava economia mondiale e un patrimonio privato superiore ai 10.000 miliardi di euro. Nel 2023 l’aspettativa di vita è salita a 83,1 anni, collocando il Paese fra i più longevi al mondo. Ma dietro questo apparente quadro idilliaco, è in corso da tempo un declino sistemico che vede l’intersecarsi di cambiamenti mai visti prima. A partire da quello demografico, che presenta alcuni dei peggiori parametri a livello mondiale.
L’attuale tasso di natalità (1,2 figli per donna) è fra i più bassi al mondo, mentre le nascite sono in costante calo dal 2008, cosa che ha determinato la progressiva diminuzione degli abitanti di oltre 1,3 milioni di persone negli ultimi 9 anni. Contemporaneamente la popolazione ha raggiunto un’età media di 46,6 anni diventando la seconda più vecchia al mondo, superata solo da quella giapponese. Queste dinamiche hanno creato un pericoloso sbilanciamento generazionale a favore delle coorti più anziane, mentre quelle più giovani sono numericamente ridotte e socialmente precarie.
Nonostante il ripetuto allarme lanciato dai demografi, il dibattito pubblico è rimasto piuttosto limitato concentrandosi quasi sempre sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Ma la progressiva riduzione dei giovani lavoratori è solo uno dei tanti elementi negativi per una società legata ad un sistema industriale-tecnologico in rapida evoluzione. Entro pochi anni la coorte demografica più numerosa, nata a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, diventerà sempre più anziana ponendo una fortissima pressione sul servizio sanitario nazionale, già in difficoltà da tempo. Questa pressione si ripercuoterà anche su tutti i servizi sociali dedicati all’assistenza degli anziani, che dovranno fare affidamento su scarse strutture pubbliche, sull’assistenza privata o l’impegno personale dei pochi eredi (spesso figli unici).
Ma un elemento ancora più insidioso è generato dall’invecchiamento generale della nazione: l’immobilismo culturale, politico ed economico. La presenza di numerose coorti anziane rispetto a quelle più giovani finisce per spostare il peso politico verso le prime, incentivando il mantenimento dello status quo a discapito dei cambiamenti necessari. La società diventa inevitabilmente più rigida, chiusa, meno propensa al rischio, meno vitale, incastrata negli schemi del passato, inadatti per affrontare la globalizzazione in corso. Questo complesso fenomeno finisce per alimentare a cascata le altre crisi, dal declino industriale, all’aumento delle diseguaglianze fino al decadimento culturale-sociale. Le divisioni fra le generazioni si acuiscono e con esse anche gli sbilanciamenti territoriali, con lo spopolamento accelerato del Sud a favore di alcune regioni del Nord o di Paesi esteri. In un contesto del genere l’Italia diventa sempre più incapace ad adattarsi ai rapidi cambiamenti esterni, scivolando ai margini dell’innovazione tecnologica. Una spirale che finisce per rendere irreversibile il declino del sistema repubblicano, con gravi conseguenze per tutta la popolazione.
Per fronteggiare questa deriva sono state suggerite molteplici riforme, incentrate soprattutto sugli incentivi economici e la fornitura di adeguati servizi per le giovani famiglie. Ma in nessuna nazione avanzata si sta invertendo nettamente la curva demografica, nonostante l’implementazione di welfare state più potenti ed efficaci rispetto al debole modello italiano. I cambiamenti culturali-sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno compresso la natalità fino ad alimentare la cosiddetta ‘trappola demografica’1. Per il momento l’unica soluzione realistica è quella legata ai flussi migratori, ma l’ingresso di centinaia di migliaia di persone richiede attenta pianificazione ed enormi risorse. Inoltre tali ingressi, gestiti spesso in maniera caotica, hanno finito per alimentare reazioni xenofobe, tensioni politiche e problematiche territoriali, che hanno spinto i governi occidentali a militarizzare i confini.
Senza radicali misure, questi trend raggiungeranno il loro culmine nel periodo 2030-2040, costringendo la nazione a forme di adattamento sempre più pesanti e ingestibili essendo ormai diventata un ‘laboratorio’ del futuro occidentale.