Tra le tante cose che sorprendono della lenta ma inesorabile avanzata della mobilità attiva in Italia (per mobilità attiva si intende pedonalità e ciclabilità) ci sono alcuni curiosi ritardi culturali. C’è ad esempio l’idea diffusa che usare quotidianamente la bicicletta non sia sempre possibile o ovunque praticabile, oppure che con la bicicletta non si possano fare le stesse cose che altri veicoli per il trasporto individuale invece facilitano di più.
Tra le tante curiosità una è in questo senso lampante: per la legge italiana la bicicletta si chiama ancora velocipede. Il termine fu coniato nel 1818 da Nicéphore Niépce, più tardi (1839) accreditato come inventore della fotografia, per intitolare un precoce miglioramento della prima “bici” di Karl Drais. La bella parola, piena di riferimenti classici (dal piè veloce Achille ai piedi alati di Mercurio) non entrò però subito nell’uso corrente, ma fu ripescata almeno quarant’anni più tardi per celebrare l’avvento del pedale, visto che le prime bici facevano senza.
Come che sia, da noi è rimasta: il Codice della Strada, un testo che avrebbe bisogno di ben più che una spolverata, in materia di bici sembra essere rimasto agli Sessanta dell’Ottocento. Bicchiere mezzo pieno? La bicicletta, icona sempre giovane e in perenne aggiornamento tecnologico, potrebbe non soffrire più tanto del vetusto nome di velocipede, a conti fatti ben più inclusivo del ridente bicicletta.
I veicoli a pedali utilizzabili in strada partono infatti sì dalle classiche due ruote, ma arrivano a sei, passando per il quattro e per il tre. Pensiamo infatti ai moderni quadricicli per la logistica integrata: si tratta di veicoli a pedalata assistita già impiegati su larga scala in diverse città del mondo da importanti player (DHL tra tutti) dove trova posto un Europallet o anche due, se con rimorchio: ed eccoci arrivati alle sei ruote.
Anche la mobilità individuale esce dai confini delle due sole ruote. Da tempo è una realtà la velocar, ovvero un triciclo con carenatura aerodinamica – si pedala supini – che può essere usato per il commuting sulle lunghe distanze. Anche qui la tecnologia va avanti, e le ruote diventano sempre più spesso quattro: ultima è la norvegese Frikar, sofisticato veicolo a pedalata assistita. Trasporta un adulto e un bambino, ma di fatto rimane un velocipede.
Il nostro Codice attuale non prevede un limite alle ruote, bensì alle dimensioni: il velocipede, nome forse a questo punto più adatto a descrivere i nuovi modi di essere bi-cicletta, non può superare i tre metri di lunghezza, i due e venti di altezza e uno e trenta di larghezza. Da noi quindi ancora niente sei ruote, troppo ‘lunghe’. Per il resto, la fantasia può correre veloce.