Il nemico del mio nemico è mio amico.
Una frase un po’ da film d’azione in cui si vengono a creare alleanze inaspettate, guidate dalla presenza di un avversario comune, spesso difficile da battere, se non unendo le forze. Nella medicina talvolta questo capita, in quanto grazie allo sviluppo delle biotecnologie, possiamo ricevere assist insperati da una categoria che tendenzialmente consideriamo essere parte della squadra dei ‘cattivi’: stiamo parlando dei virus. D’altronde abbiamo iniziato questo decennio alle prese con un virus che ha messo in crisi l’intera umanità, quindi è normale che gli esseri umani siano prevenuti quando parliamo di questa categoria. Ma, come spesso accade non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, in quanto esiste un’enorme biodiversità di virus, molti dei quali non attaccano gli umani, bensì hanno altre preferenze. Come per esempio i batteri, che sono vittime di virus particolari, chiamati batteriofagi, per gli amici fagi.
E proprio i batteri sono uno dei nostri più temibili avversari, capaci di causare devastanti malattie. Fortunatamente nel tempo abbiamo sviluppato antibiotici capaci di contrastarli; nonostante ciò l’uso diffuso di antibiotici in medicina ha causato la selezione di batteri con resistenza multipla, che a loro volta stanno causando una crisi sanitaria globale. La situazione è peggiorata dal fatto che nuovi antibiotici vengono scoperti e sviluppati molto lentamente, causando un ritardo rispetto all’emergere dei patogeni resistenti. Fortunatamente gli antibiotici salvano ancora innumerevoli vite ogni anno, ma la loro sempre minore efficacia nel trattamento di alcune infezioni è motivo di preoccupazione.
Entrano qui in gioco i fagi, capaci di attaccare i batteri patogeni, senza, almeno in teoria, causare lo sviluppo di resistenze, ed evitando anche uno dei comuni problemi degli antibiotici classici, che essendo ad ampio spettro colpiscono anche batteri ‘innocenti’ rischiando di fare tabula rasa del nostro prezioso microbioma, causando ulteriori problemi a cascata. Nel 2018, la britannica Isabelle Holdaway fu la prima persona curata da una grave infezione batterica sviluppatasi in seguito a trapianto polmonare tramite l’uso di virus, con una tecnica chiamata phage therapy, una terapia base di fagi, appunto.
La teoria è però una cosa, la pratica un’altra, perché da un lato è necessario capire quanto effettivamente i fagi siano specifici per i patogeni e quindi riescano a lasciare in pace gli altri batteri, dall’altro il gioco dell’evoluzione a cui è soggetta anche questa sfida può portare allo sviluppo di batteri resistenti ai fagi utilizzati.
Certamente qui il vantaggio rispetto all’antibiotico è che il fago si replica autonomamente e può co-evolvere per soverchiare il batterio resistente, in quella costante corsa agli armamenti che spesso è l’evoluzione. Oltre alla ricerca di fagi ‘ambientali’, ovvero virus naturalmente presenti nella biodiversità che ci circonda, l’evoluzione in laboratorio e l’ingegneria genetica dei fagi sono strade percorribili per superare le problematiche della phage therapy, che ancora è una strategia ai propri albori. Nonostante ciò è stata fortemente rilanciata negli ultimi anni, con numerosi studi clinici per valutare il ruolo di vari preparati fagici per trattare le infezioni batteriche multiresistenti.
Ma non solo medicina: esiste anche un grande potenziale nell’uso di fagi nel ridurre l’uso di antibiotici in settori quali l’agricoltura, l’acquacoltura, l’allevamento e la medicina veterinaria. Quindi, mai giudicare un virus dalla copertina!