Argentina. Le scienze sociali nei conflitti ambientali

La ripresa dell’azione sociale passa attraverso la partecipazione a processi di conoscenza collettiva e al recupero dei saperi locali.

Autore

Gabriela Merlinsky

Data

24 Novembre 2022

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24 Novembre 2022

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Dicembre 2021 – I conflitti ambientali hanno guadagnato sempre più spazio nel dibattito pubblico argentino grazie al rapporto che i ricercatori e gli attori coinvolti sono riusciti a costruire tra loro. La ripresa dell’azione sociale passa attraverso la partecipazione a processi di conoscenza collettiva e al recupero  dei saperi locali.

La sociologia in Argentina 

La presenza della sociologia nel dibattito pubblico in America Latina, a differenza di quanto accade nel mondo anglosassone, è  caratterizzata da una forte relazione tra il mondo  accademico e una vasta arena di cui fanno parte  movimenti sociali, forum di discussione, proteste  e interventi pubblici. 

In questa regione del mondo, una relativa  autonomia in campo scientifico e culturale si è espressa, negli anni Sessanta e Settanta, con la presenza di vere e proprie contro-élite. Sebbene questo processo di relativa autonomia abbia  avuto un momento di sospensione durante il  periodo delle dittature militari, esso ha lasciato  un’impronta che continua a essere presente nella cultura e nel ruolo che l’università e gli istituti  di ricerca svolgono nella vita pubblica. A partire  dagli anni Ottanta, come forma di collaborazione decisiva ai processi di apertura democratica  avvenuti nella regione, sono stati costruiti campi politico-accademici che hanno combattuto  battaglie insieme a movimenti sociali, sindacati  e partiti politici allo scopo di avviare e costruire un dibattito pubblico. Attualmente, queste parti  in causa richiedono al mondo scientifico di non  risolvere solo i problemi posti dall’alto, ma di costruire un luogo in cui si generano domande sul  rapporto tra conoscenza e poteri costituiti. Qui  gli scienziati sociali propongono idee che vengono discusse e contestate da politici, attivisti,  esperti, funzionari pubblici e una molteplicità di attori sociali. In questi momenti viene messo in discussione il ruolo che gli  accademici dovrebbero occupare nella società. 

In Argentina, questa situazione è caratterizzata anche da un alto livello  di politicizzazione della vita accademica grazie a un modello di co-governo  universitario che viene istituito con elezioni aperte a cui partecipano studenti, professori e lavoratori non docenti. Questa esperienza produce una  commistione tra la partecipazione a partiti politici e movimenti sociali e l’insegnamento e la ricerca, aspetto, questo, che segna anche la forte presenza dell’università nei dibattiti pubblici. A ciò contribuisce l’esistenza di un consenso intorno alla difesa del diritto all’educazione come bene pubblico, che definisce l’istruzione gratuita come diritto non negoziabile. 

Negli ultimi vent’anni ho condotto ricerche e promosso cause di risarcimento per danni ambientali. Inoltre, ho preso parte a varie campagne  di sensibilizzazione sui problemi dell’inquinamento, partecipato a diverse  assemblee che si oppongono all’installazione di miniere a cielo aperto e  ho seguito alcune proteste il cui scopo era l’emanazione di leggi sulla salvaguardia dell’ambiente. Un elemento comune di queste azioni collettive è  che rappresentano forme di risposta all’espansione delle attività economiche che comportano un’estrazione intensiva di risorse, il proliferare delle discariche e i rischi di contaminazione per coloro i quali trovano sostentamento materiale nell’ambiente 1. Le istanze di questi gruppi sollevano interrogativi sul valore dell’acqua, del territorio, del paesaggio e della salute considerati beni pubblici. Sono spazi di sperimentazione sociale che mettono in relazione in forma nuova gli obiettivi della giustizia ecologica con le antiche esigenze di giustizia sociale. La mia attività di ricerca si è interrogata su come i diversi conflitti ambientali siano riusciti ad attrarre l’attenzione, a diventare oggetto di interesse sociale e a guadagnare spazio nel dibattito  pubblico.  

Il tema che pongo – e questo marca una forte distinzione con la sociologia nel mondo anglosassone – è che, data la natura pubblica che assume  la costruzione di alcuni problemi di ricerca, la presentazione dei risultati avviene in un contesto in cui il dibattito è già connesso ad altri ambiti  decisionali. In molte occasioni sono le persone a mettere in discussione  il ruolo delle agenzie statali e delle imprese in termini di produzione di co noscenza, aprendo un dibattito sulla posizione del ricercatore rispetto ai  temi in gioco. Così, nel presentare i risultati, sorgono dibattiti che, anche  se tengono conto dei dati, in realtà mostrano l’interesse delle persone per  porre domande circa le implicazioni politiche delle ricerche e sul ruolo della  conoscenza scientifica nella costruzione di visioni e mondi alternativi.  

Quando i risultati della ricerca vengono discussi pubblicamente 

Qualche anno fa, con un gruppo di autori, abbiamo pubblicato due  volumi di un’opera collettanea chiamata Cartografie del conflitto ambientale  in Argentina 2. I testi includono i risultati di un progetto di ricerca collettiva che, partendo da un approccio comune, analizza il processo di formazione  degli attori collettivi e delle loro richieste in seno alla questione ambientale.  I testi presentano narrazioni di casi studio la cui selezione è il risultato di diversi processi di collaborazione con gruppi e organizzazioni ambientaliste. 

Le opere che compongono questo lavoro collettaneo illustrano esperienze forti, in cui i diversi gruppi si oppongono all’apertura di miniere a cielo  aperto, protestano con i settori più competitivi nella produzione agricola  alleati con multinazionali come la Monsanto e respingono le speculazioni  immobiliari che alterano bacini idrici e paludi, per fare solo alcuni esempi.  La caratteristica comune di queste proteste è che riescono a fermare i progetti per un certo periodo, invocando la legge e ottenendo ordinanze comunali di regolamentazione e/o realizzazione della delimitazione delle zone  che vogliono tutelare. Si tratta di soluzioni provvisorie che generalmente non consentono di chiudere il conflitto ma che rappresentano importanti  risultati di queste battaglie per la giustizia ambientale.  

Partendo da un approccio comune che rispetta l’unicità delle diverse  esperienze, lo scopo di queste cartografie è identificare i territori del conflitto, seguire gli attori nei loro raggruppamenti e analizzare le controversie  per stabilire come si costituiscono i problemi collettivi. Una chiave di lettura comune nel testo è che i conflitti si muovono nel tempo e nello spazio, producendo trasformazioni in altre sfere della vita sociale, aspetto che  chiamiamo «produttività del conflitto». 

Poiché il libro è stato pubblicato in open access da CLACSO, la sua  divulgazione è stata ampia tra i gruppi ambientalisti 3. Ciò significa che la  presentazione degli articoli in diverse tavole rotonde, workshop e conferenze attira pubblici diversi, in particolare gli attori che hanno una partecipazione attiva e si sono costituiti parte civile in questi conflitti. In tali occasioni, gli attivisti di assemblee cittadine ambientaliste prendono la parola,  promuovendo preziosi scambi con i ricercatori e ponendo nuove domande  sui risultati.  

Un punto interessante di queste discussioni è che i nostri interlocutori  hanno già letto parti del libro e, in alcune occasioni, affermano di averlo  utilizzato come materiale formativo. Ma ancora più interessante è che essi si sono formati opinioni precise sui vari temi partecipando a processi di  conoscenza collettiva volti al recupero dei saperi locali. Quando si tratta di identificare le cause dei danni all’ambiente o alla salute, è comune per  i residenti e le organizzazioni territoriali, con l’aiuto di gruppi di esperti, sviluppare diverse indagini per stabilire le origini del problema che li colpisce. Queste indagini incorporano l’epidemiologia popolare 4, con la realizzazione di «campi sanitari», la partecipazione di medici coinvolti nelle  lotte ambientali e la realizzazione di campagne informative con volantini,  libri divulgativi e materiale cinematografico. In alcuni casi, gli attori hanno  familiarità con la letteratura sulla cittadinanza attiva che evidenzia il ruolo  che l’attivismo svolge nella produzione di conoscenza 5

Una categoria che utilizziamo nella ricerca e che richiama l’attenzione  del pubblico è quella che si riferisce alla produttività dei conflitti ambientali. Forse perché consente di mettere in relazione le esperienze di produzione  di conoscenza locale con i risultati della ricerca e promuove una riflessione  su possibili scenari futuri. In queste occasioni sono due le situazioni che  tendono a ripresentarsi: o la discussione sulla produttività dei conflitti può  portare ad alcune incomprensioni e quindi obbliga a chiarimenti da parte  dei ricercatori oppure, in situazioni in cui vi è una maggiore apertura al  dibattito, i partecipanti utilizzano il concetto come strumento analitico. 

In relazione al primo punto, a volte si fa confusione con la categoria  della produttività, poiché essa crea un certo malinteso essendo associata  agli effetti positivi di un conflitto. E qui va detto che nella percezione soggettiva di molti di questi partecipanti, essere parte del conflitto ha significato avere un impatto negativo sulla loro vita quotidiana, generando costi  personali e familiari spesso elevati e persino, in alcune occasioni, essere  oggetto di azioni di criminalizzazione e di protesta sociale. Il conflitto non è positivo di per sé per le persone e non permette sempre di migliorare le  loro condizioni di vita, ma è un campo di azione che, in determinate circostanze, produce effetti istituzionali politici, sociali, legali nel sistema delle  relazioni sociali. 

Di fronte a questa aspettativa sul positivo e il negativo del conflitto, il nostro compito di analisti sociali impone di seguire la dinamica di un conflitto nel tempo, considerando che si tratta di eventi che non hanno una  chiusura definitiva in termini di risoluzione sociale del problema. Molte  volte le autorità, i funzionari, gli esperti e/o i promotori dei progetti danno  per scontato che gli attori del conflitto possano o debbano raggiungere un  accordo sull’oggetto della controversia, che potrebbe ridursi a un unico punto di vista equamente condiviso tra i partecipanti. Da un punto di vista  sociologico, assumere «a priori» che tutti debbano essere d’accordo ci impedisce di vedere le condizioni di produzione di questo conflitto. Il fulcro della controversia è parte di un «malinteso controllato» in cui può esistere  un’interpretazione diversa di termini simili con significati differenti per ciascuna delle parti in conflitto 6

Per comprendere la posta in gioco in questi conflitti è necessario andare  oltre la narrazione degli eventi e concentrarsi sulle trasformazioni che essi  generano nel sistema delle relazioni sociali. Analizzare la produttività di un  conflitto implica pensare a cosa, come analisti sociali, possiamo imparare  dai suoi risultati più duraturi. I conflitti consentono di aprire un dibattito  pubblico, generare apprendimento sociale e, soprattutto, sono momenti di  socializzazione politica e giuridica. Ciò non implica sostenere che produttività sia sinonimo di risultato positivo e vi sono situazioni in cui le asimmetrie di potere che danno origine al conflitto non si modificano, anzi si  rafforzano.  

Entriamo ora nel secondo aspetto che riguarda l’utilizzo di diverse forme  di produttività e strumenti di analisi, dove solitamente proponiamo esercizi comparativi ricorrendo all’uso di grafici, info-grafiche, diagrammi e mappe. Questi dispositivi consentono di condividere casi diversi e mostrare perché  alcuni effetti si sono verificati in alcuni casi e non in altri. È importante dire che nel libro ci sono molti esempi di questa produttività, siano essi analisi che mostrano gli impatti di un conflitto sul territorio (per esempio, la  creazione di nuove aree protette), o sulla legalizzazione (normative che in  precedenza non venivano applicate o anche modifiche di regolamenti) o in  termini istituzionali (meccanismi istituzionali di partecipazione, creazione  di nuovi organismi ecc.). In questi casi si genera un processo di traduzione  relativamente positivo poiché i partecipanti utilizzano le categorie per applicarle a nuovi casi ampliando la nostra casistica e producendo interessanti discussioni che ci permettono di mappare diverse forme di produttività. 

Le situazioni più interessanti si verificano quando la discussione si sposta in una nuova area dove c’è un processo di ridefinizione dei concetti analitici. Una volta un partecipante mi disse che il modello di analisi era utile  ma mancava di incorporare la produttività nel sistema politico, cioè in che  modo un conflitto di portata regionale può incidere sulla costituzione di  un movimento sociale, come il caso della cosiddetta «guerra dell’acqua» in Bolivia, che ha rappresentato un passaggio fondamentale per la costruzione del potere politico del Movimento per il Socialismo (MAS, Movimiento al Socialismo) in vista dell’elezione che poi ha consacrato Evo Morales presidente. In effetti, il nostro schema di analisi funziona molto di più a livello  locale/regionale e meno a livello regionale/nazionale e questo perché non  abbiamo abbastanza casistica per fare questo tipo di analisi. Ma è stato  questo suggerimento che mi ha permesso di ripensare lo schema di analisi  incorporando nuove categorie per analizzare gli effetti dei conflitti ambientali sul sistema politico. 

Il posizionamento politico 

Gli attori che compongono le assemblee e realizzano campagne per inserire determinate questioni nell’agenda pubblica sono ben consapevoli che  il loro compito è quello di trasmettere il loro messaggio a gruppi più ampi. 

 Nelle definizioni e nelle grammatiche dell’azione collettiva delle assemblee  cittadine ambientali, tutto questo si riassume in un programma d’azione  che ha come slogan la lotta contro l’estrattivismo. È una definizione che  comprende aspetti molto diversi tra loro come la proposta di forme di  produzione agroecologica, la rivendicazione dell’autodeterminazione dei popoli, le diverse visioni dell’eco-femminismo, la difesa dei modi di vita dei popoli indigeni e la più ampia discussione sui concetti del buen vivir, come definito nelle costituzioni e nei dibattiti dei diversi gruppi in Bolivia ed Ecuador.  

Queste definizioni evocano la lotta per l’inclusione dei popoli dell’America Latina, proprio per questo definiscono la posizione degli attori in  gioco in una relazione subordinata nel mondo coloniale moderno. Nelle parole di questi attori, l’America Latina è stata sottomessa all’espansione  del capitale, al fine di contribuire con risorse umane e naturali al processo di accumulazione, che sia nel passato come nel presente comporta l’esproprio dei territori. Così, lottare contro l’estrattivismo significa anche lottare contro i processi di colonizzazione. 

Il dialogo politico che possiamo instaurare tra ricercatori e attivisti deve  andare verso una maggiore riflessività condivisa in termini di comprensione  del processo in cui siamo immersi come attori sociali. Per comprendere  i conflitti, cerchiamo anche di indagare le condizioni locali e regionali in  cui è resa possibile la presenza di industrie estrattive. Oltre al ruolo dello Stato, è importante riconoscere i diversi fattori storici, sociali e politici dei  contesti analizzati. Per esempio, la grande estrazione mineraria è avanzata  nelle province argentine che si trovano nella regione delle Ande, eccetto a  Mendoza, dove c’è una tradizione di amministrazione dell’acqua da parte  degli agricoltori. All’inizio di questo secolo, nonostante ci fossero processi di appropriazione diseguale dell’acqua, sono state le élite locali a non  consentire l’avanzata dell’estrazione mineraria. Per questo è importante  individuare elementi del contesto socio-politico regionale, in modo tale da poter soppesare altri fattori, considerando la complessità dei fenomeni ed  evitando di cadere in un esercizio di sovrageneralizzazione che è un ostacolo non solo per i ricercatori, ma anche per qualsiasi attore politico che  voglia analizzare il suo quadro di azione.  

Sulla natura pubblica del lavoro sociologico 

Tutti questi scambi sono opportunità straordinarie per stabilire connessioni tra il nostro corpus sociologico e le modalità di interpretazione  prodotte dai diversi attori sociali che ci coinvolgono nelle loro esperienze  collettive. Il compito di rendere udibili i risultati della ricerca al di fuori dei  circoli accademici diventa praticabile a condizione che siamo disposti ad  accettare ed esporci a situazioni in cui la conoscenza che produciamo può  essere confutata dagli attori che studiamo. 

Tuttavia, questa è una condizione necessaria ma non sufficiente per partecipare al dibattito pubblico. Una seconda condizione importante è che si  possa generare un’area di deliberazione in cui gli argomenti reciproci entrino a far parte di un nuovo quadro di intelligibilità in cui i risultati possano  essere messi in discussione, dibattuti e riutilizzati7

Per generare questo nuovo spazio di scambio è necessario riformulare  le domande di ricerca, questa volta non per intraprendere un nuovo studio  ma per tenere conto di una pluralità di punti di vista, domande e possibili  risposte. Sebbene il nostro ruolo di analisti sociali non sia quello di formulare raccomandazioni finali su possibili linee d’azione, non possiamo non  prendere posizione quando diventiamo parte attiva di questi conflitti. 

L’esperienza che ho presentato può essere intesa come un’area di produzione di conoscenza che Michel Callon, Pierre Lascoume e Yannick Barthe 8 chiamano forum ibrido, cioè un’area di deliberazione in cui pubblici eterogenei, che sono anche portavoce di gruppi diversi, mescolano e giustappongono diversi tipi di conoscenza (accademica ed extra-accademica), che si combinano in diversi registri di analisi: razionalità politiche, accademiche, tecniche, culturali e religiose, ecc. 

Il confronto prevede un dibattito aperto in cui gli attori coinvolti mettono  in discussione l’uso dei concetti proposti o evidenziano un disallineamento  rispetto a una posizione politica che hanno precedentemente assunto e dove  hanno addirittura definito chi sono i loro alleati e su quali piattaforme agire. Per questi interlocutori, la questione più importante è sapere fino a che  punto il nostro lavoro può svolgere un ruolo ausiliario rispetto alle posizioni  precedentemente assunte. Il confronto si fa più teso quando ci si aspetta che  i ricercatori prendano nette posizioni di adesione a certi movimenti, cosa che  a volte facciamo ma non sempre. A questo punto il confronto delle idee entra nel campo della discussione politica aperta: qui è importante sapere che  questo è uno degli esiti possibili quando si tratta di presentare i risultati della  ricerca in un’area in cui partecipano anche gli attivisti sociali. 

Quando presentiamo le nostre idee e le confrontiamo con quelle degli altri attori coinvolti, possiamo dire che avviene un processo di transazione, cioè un processo di migrazione di categorie che facilita la riformulazione  del problema di ricerca. Ciò è possibile perché queste nuove questioni si  costruiscono a partire da un universo di riferimento condiviso con gli altri  attori coinvolti nel dibattito politico e accademico. Come già sottolineato, molti degli attivisti di questi movimenti conoscono e sono lettori critici  della letteratura sulle scienze sociali. Formandosi nella critica delle scienze sociali latinoamericane, sanno qual è il compito del ricercatore, e cosa ci  si può aspettare da uno studio sociologico, tanto più che alcuni di loro studiano all’università.  

Sono vicina ad autori come Arturo Escobar 9, che sostengono la necessità di rendere esplicita la dimensione ontologica presente nei conflitti ecologici. Si tratta di una riflessione che ci conduce a quello strato fondamentale  dell’esistenza dove è coinvolto il rapporto tra pensiero e costruzione dei  mondi. Per gli accademici che studiano i conflitti e vanno incontro a questi mondi, la questione di aprirsi al pubblico è anche un modo diverso di modificare l’esistenza. 


Fonte/Testo originale: Gabriela Merlinsky, ‘Argentina. Le scienze sociali nei conflitti ambientali’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, dicembre 2021, Il Mulino.

Note

  1. R. Guha e J. Martinez-Alier, Varieties of Environmentalism. Essays North and South, London,  Earthscan, 1997.
  2. M.G. Merlinsky, Cartografías del Conflicto Ambiental en Argentina, Buenos Aires, Editorial CIC CUS/CLACSO, 2014. Disponibile online all’indirizzo http://biblioteca.clacso.edu.ar/clacso/ se/20140228033437/Cartografias.pdf; Ibidem, Cartografías del Conflicto Ambiental en Argentina  2, Buenos Aires, Editorial CICCUS/CLACSO. Disponibile online all’indirizzo http://www.clac so.org.ar/libreria-latinoamericana/libro_detalle.php?orden=&id_libro=1177&pageNum_rs_ libros=0&totalRows_rs_libros=1121.
  3. La Unión de Asambleas Ciudadanas (UAC) è uno spazio di incontro e organizzazione di assemblee socio-ambientali, tra contadini, popoli indigeni e organizzazioni autonome, nato in Argentina e cresciuto anche in Uruguay, Paraguay, Brasile e Cile. Nelle parole di uno dei suoi partecipanti:  «è uno spazio che si riunisce due volte l’anno in luoghi diversi secondo decisioni collettive, per  scambiare, discutere e proporre azioni comuni, con l’obiettivo di difendere la natura, i diritti umani  e l’autodeterminazione dei popoli». Funziona come una vasta rete di organizzazioni che si è formata  nel 2006 a seguito del Forum Nazionale dei Popoli Ambientalisti Autoconvocati tenutosi a Córdoba,  in Argentina.
  4. P. Brown e E.J. Mikkelsen, No Safe Place: Toxic Waste, Leukemia, and Community Action, Berkeley,  University of California Press, 2002; M. Akrich, Y. Barthe e C. Rémy, Sur la piste environnementale.  Menaces sanitaires et mobilisations profanes, Paris, Presses des Mines, 2013. 
  5. E. Woodhouse et al., Science Studies and Activism: Possibilities and Problems for Reconstructivist Agen das, in «Social Studies of Science», vol. 32, n. 2, pp. 297-319.
  6. E. Viveiros de Castro, Métaphysiques cannibales, Paris, PUF, 2009.
  7. D. Fassin, Why Ethnography Matters: On Anthropology and Its Publics, in «Cultural Anthropology»,  vol. 28, n. 4, 2013, pp. 621-646. 
  8. M. Callon, P. Lascoumes e Y. Barthe, Agir dans un monde incertain. Essai sur la démocratie technique,  Paris, Seuil, 2001.
  9. A. Escobar, Sentipensar con la tierra. Nuevas lecturas sobre desarrollo, territorio y diferencia, Medellín,  Universidad Autónoma Latinoamericana Unaula, 2014.
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