Giustizia, pace, salvaguardia del creato

Una svolta verso la conversione ecologica – verso pace, giustizia e integrità della biosfera – appare possibile solo se tutti decideranno di agire da inflessibili e coraggiosi «indigeni».

Autore

Alexander Langer

Data

13 Aprile 2023

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6' di lettura

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13 Aprile 2023

ARGOMENTO

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Alexander (Alex) Langer, indimenticabile figura dell’ambientalismo europeo, si tolse la vita nell’estate del 1995, nel pieno della guerra dei Balcani. Lo ricordiamo pubblicando questo suo intervento del 1989. Ringraziamo la Fondazione Alexander Langer Stiftung per averci concesso l’autorizzazione a riprodurlo. La Lettura, il cui titolo originale è ‘Giustizia, pace, salvaguardia del creato. Tesi sull’attuabilità politica di una conversione ecologica’, venne pronunciata il 4 gennaio 1989 all’Accademia Cusano di Bressanone.

Dicembre 2005 – Per conversione ecologica intendo la svolta oggi quanto mai necessaria e urgente che occorre per prevenire il suicidio dell’umanità e per assicurare l’ulteriore abitabilità del nostro pianeta e la convivenza tra i suoi essere viventi. 

Uno

Preferisco usare questa espressione, piuttosto che termini come rivoluzione, riforma o ristrutturazione, in quanto meno ipotecata e in quanto contiene anche una dimensione di pentimento, di svolta, di un volgersi verso una più profonda consapevolezza e verso una riparazione del danno arrecato. Inoltre nel concetto di «conversione» è meglio implicita anche una nota di coinvolgimento personale, la necessità di un cambiamento personale ed esistenziale. 

L’obiettivo è, dunque, quanto mai arduo e impegnativo. Si tratta di ripristinare e talvolta di conservare un equilibrio gravemente turbato a causa della civiltà industrialista, dominata dalla ricerca istituzionalizzata del profitto e orientata alla massima espansione. Ciò oggi appare enormemente più importante che non assecondare «crescita» o «sviluppo».

Occorrono quindi una globale stabilizzazione e garanzia delle condizioni (non solo materiali) di vita e la loro equa redistribuzione, e l’apertura di opportunità reali di auto sviluppo autonomo. Questo richiede il superamento di tantissime forme e strutture di ingiustizia, di dipendenza, di etero-determinazione, di sfruttamento, ed esige quindi processi di disarmo e smilitarizzazione e un enorme sforzo teso alla riduzione della violenza, dell’eccessiva competizione, di miseria, di distruzione. 

Due

Nella parte di mondo in cui noi viviamo, tutto ciò postula essenzialmente l’autolimitazione (individuale e collettiva, personale e sociale). Ed eccoci al problema politico cruciale: come può affermarsi e realizzarsi democraticamente una politica di autolimitazione, visto che la democrazia dipende così fortemente dal consenso? Termini come «una politica di rinunce» o come «rinunciatari» venivano sinora usati quasi sempre solo in senso spregiativo – forse si tratta di riabilitarli!

Parlo espressamente di una politica democratica di autolimitazione, perché non riterrei né desiderabile né efficace una politica non-democratica (per esempio autoritaria o dirigista) per attuare questi o altri pur importantissimi obiettivi: in fin dei conti sarebbe sempre un auto-goal, e finirebbe oltretutto per comportare più costi (materiali e immateriali) che vantaggi. 

Tre

Per quanto un simile obiettivo possa suonare pretenzioso e financo temerario, è comunque incoraggiante notare qualche segnale positivo che comincia a segnalare passi di auto-limitazione: pensiamo a certi significativi progressi nella politica della limitazione degli armamenti, e pensiamo anche alla sempre più diffusa consapevolezza che anche la «corsa agli armamenti» sul versante del consumismo finisce per condurre in un vicolo cieco… La situazione di minaccia ecologica globale ci mette tutti in una nuova condizione, nella quale «egoismo» e «altruismo» tendono maggiormente a coincidere: il «nessuno può più salvarsi da solo» è diventato più vero e più verificabile, la globale interdipendenza si tocca immediatamente con mano e quanto finora poteva apparire il postulato dei «movimenti della generosità» diventa sempre più esigenza di comune buon senso e di sana auto-conservazione.

Visto che però in genere interessi di profitto e di potere e vantaggi a breve (non solo di minoranze super-privilegiate!) offuscano lo sguardo verso la prospettiva più ampia e a lungo termine, il diffondersi di simili consapevolezze non si traduce automaticamente in attuazione concreta (Socrate probabilmente sbagliava quando riteneva che la virtù, una volta conosciuta, venisse anche scelta e praticata: tutti vogliono tornare alla natura, ma nessuno a piedi).

Quattro

Si pone dunque la domanda di come portare a realizzazione concreta simili prese di coscienza, ed ecco che ci troviamo molto nitidamente di fronte al conflitto tra obiettivi a lungo termine e obiettivi a breve termine. E alla domanda: come fare perché le decisioni importanti vengano prese da tutti coloro che ne sono coinvolti e con reale riguardo a tutti coloro che ne sa ranno toccati? (Di fatto i nostri attuali sistemi escludono sistematicamente tutti coloro che in fin dei conti pagano i costi delle nostre decisioni sbagliate: i poveri, i disoccupati, gli immigrati, il «terzo mondo», la natura, i vinti, i bambini, i vecchi, i non-ancora-nati… Quando si parla di «società dei due terzi, in realtà si usa un eufemismo, perché al massimo siamo una «società di un terzo» che sistematicamente esclude i 2/3, anzi, i 4/ 5 di coloro che ne pagano il prezzo). 

La politica prevede e produce oggi decisioni e responsabilità a cortissimo termine, orientate a obiettivi di assai corto respiro (anche temporale), ma in misura sinora mai conosciuta produce ripercussioni di enorme portata, nel tempo e nello spazio.

Cinque

Certo, questa responsabilità non può essere né ignorata o cancellata, né delegata a nessuno: ogni persona decide, nel grande e nel piccolo, sempre anche per i prossimi, per l’ambiente, per i posteri (sia che si piantino alberi o si distruggano boschi, si costruiscano case o si demoliscano colline, si generino figli, si permettano o si impediscano strade, centrali atomiche o installazioni militari).

Il problema consiste dunque nell’arrivare a decisioni che assicurino la massima compatibilità ambientale, sociale e generazionale: è una responsabilità verso la natura, verso i prossimi, verso i posteri. 

Ed è proprio questa la posta in gioco, quando si parla di una politica di auto-limitazione, di equilibrio: pace, giustizia e salvaguardia della biosfera (del creato, per riprendere il termine con cui il movimento ecumenico nelle chiese ha coniato questa triade) possono bene sintetizzare questo obiettivo. 

La conversione ecologica non può certo essere affidata solo alla politica, la quale tuttavia contribuisce fortemente a promuoverla o impedirla, visto il grande numero e peso delle decisioni che oggi vengono mediate attraverso la sfera politica.

Sei

L’enorme divario tra questi obiettivi e gli acuti pericoli che oggi corrono l’umanità e la stessa biosfera a causa dell’assoluto sovraccarico di armamenti e violenza bellica, di ingiustizie sociali profonde e miseria di massa, nonché di degrado e distruzione ambientale potrebbe far perdere le speranze e far apparire a priori vano ogni sforzo verso una conversione ecologica.

Il ritmo della distruzione è oggi incomparabilmente più celere di ogni processo di ricostruzione o di salvaguardia di equilibri compatibili. Se si pensa che sul nostro pianeta si bruciano in un solo giorno più combustibili fossili di quanti se ne siano formati nel corso di 1.000 anni, si può ricavarne un’immagine realistica della nostra condizione, valida forse non solo sul piano materiale. Si tratta quindi anche di una vera e propria corsa contro il tempo. 

Di fronte a tale situazione c’è il rischio (al quale sono esposti non solo movimenti verdi, ma in larga misura anche chiese, sindacati, accademie, istituti, partiti…) o di concentrarsi soltanto su astratti moralismi fatti di impotenti appelli etici (si ricordino il patetico appello di Pertini a proposito dello «svuotare gli arsenali, riempire i granai» o certi appelli generici del Papa sulla bomba atomica), o di accontentarsi di riduttive traduzioni amministrative o tecnocratiche del l’istanza ecologica (più filtri e depuratori, meno fosfati nei detersivi e meno chimica in agricoltura, valori-limite anti-inquinamento più rigorosi, chiusura delle centrali nucleari, introduzione di tasse ambientali, di vieto della plastica, obbligo della marmitta catalitica, ecc.), senza mettere in questione la spirale espansionistica e orientata al profitto che fa girare il carosello della crescita economica della nostra civiltà in nome del «più veloce, più alto, più grande, più…».

Sette

Dinnanzi alla situazione così focalizzata sommariamente vorrei offrire alla riflessione e ricerca tre postulati e tre strumenti, ben consapevole che si tratta di proposte che devono faticare a risalire l’impetuosa corrente delle presunte ovvietà economiche e politiche. 

I. Ogni decisione politica ed economica e ogni sua implicazione (programmare, costruire, regolamentare, indirizzare, investire…) deve passare da un’ottica del breve a una del lungo periodo; un elemento determinante di cui tener conto dovrà essere l’accurata e rigorosa valutazione dell’impatto ambientale, sociale e generazionale. Ogni decisione che non ne tenga conto va denunciata come pericolosa, irresponsabile e illegittima. 

II. Devono essere tenuti in conto tutti gli «interessati» (compreso gli ecosistemi e i posteri) e poter partecipare, nella massima misura possibile, alle decisioni che li riguardano. Dove ciò non sia possibile, bisognerà trovare altri e nuovi strumenti per non passare sopra ai soggetti non considerati e non rappresentati, ma colpiti dalle ripercussioni delle decisioni prese. In proposito occorrerà sviluppare nuovi principi (p.es. una «carta dei diritti dell’ambiente» e «dei posteri») e nuovi diritti di partecipazione (p.es. del «terzo mondo»). Gli organismi di rappresentanza democratica dovranno sviluppare criteri per realizzare l’auto-limitazione della portata delle loro decisioni, con riguardo all’ambiente, al resto dell’umanità non compresa nella rappresentanza e ai posteri, se non si vuole che la democrazia diventi del tutto incredibile e meramente congiunturale. (Per questi nuovi criteri si potrebbe, p. es., pensare a maggioranze assai qualificate, a diritti di veto, a divieti assoluti di accesso a «riserve comuni dell’umanità» o di proliferazione di danni ecc.). 

Un ecosistema così interdipendente e così vulnerabile come quello in cui ora viviamo richiede anche processi decisionali massimamente interdipendenti e autolimitati. 

III. Sinora il prezzo per le decisioni e i provvedimenti del mondo industrializzato e altamente «sviluppato» (che ha agito secondo una costante prassi di «in solvenza fraudolenta») è stato fatto pagare essenzialmente ad altri, esclusi per giunta dagli stessi vantaggi che tali decisioni e provvedimenti potevano comportare. Il conto da pagare veniva (e viene) dunque intestato ai lontani: a chi è socialmente «lontano» (i poveri, gli strati deboli della società), a chi è geograficamente «lontano» (il «terzo mondo», i popoli impoveriti), ai «lontani» nel tempo (i posteri). Basti pensare alla questione dei rifiuti, al saccheggio delle materie prime, alla dissipazione dei beni naturali come le foreste tropicali o le riserve energetiche… 

Ora è drasticamente tempo che il mondo industrializzato cominci a vivere a proprie spese e a pagare i propri debiti, smettendola di consumare crediti usurpati presso la biosfera e presso i poveri. È tempo, anche, che si compili e si osservi un realistico «bilancio ecologico», il cui pareggio sarà molto più doveroso e urgente che non di quello finanziario o alla bilancia dei pagamenti con l’estero. L’insolvenza e l’inflazione ecologica hanno conseguenze ben più devastanti e innescano dei «boomerang» più terribili di quella finanziaria e persino sociale.

Non esistono ricette

Come realizzare tutto questo, come accreditare in politica una simile impostazione, oggi quanto mai urgente? I sistemi politici attuali sono davvero poco adatti a produrre decisioni auto-limitate e orientate al lungo periodo, a tener conto di tutti i colpiti da esse e a realizzare il pagamento dei nostri conti insoluti. 

Non esistono certamente ricette miracolose o facili. Ma senz’altro si riuscirà meglio a trovare una terapia efficace, se si allarga la convinzione sullo stato della malattia e gli obiettivi del risanamento. 

Per intanto si possono mettere in risalto tre modesti strumenti:

Solidarietà verso natura, prossimo e posteri

a) Essenziale appare il ruolo delle iniziative dei cittadini, delle associazioni, del volontariato, dei gruppi ecologici, del movimento verde in senso lato, inteso come movimento di solidarietà verso la natura, verso il prossimo e verso i posteri. Proprio nel nostro sistema, che funziona tutto a spese degli esclusi, c’è un gran bisogno che qualcuno all’interno della cittadella industriale super-armata, super-nutrita e super-insensibilizzata levi la propria voce anche in nome degli esclusi e di tutti quelli che non vengono tenuti presenti, sforzandosi di far valere gli interessi anche loro. Questo può avvenire in molti modi, anche attraverso azioni dirette, propositive e di boicottaggio, proteste civili, la resistenza nonviolenta, la riconversione ecologica di strutture anche minori, l’insistenza sui diritti umani, il rifiuto di condividere, finanziare e sopportare una politica e un’economia distruttiva e contraria alla vita ecc. E, dato che simili movimenti non dipendono direttamente e immediatamente da interessi elettorali, possono più coraggiosamente sfidare anche certo buonsenso consumistico senza preoccuparsi troppo di eventuale impopolarità e perdita di miope consenso, il loro ruolo come «organi di coscienza» non può essere enfatizzato abbastanza. (Un po’ più d’incoraggiamento da parte di chiese, sindacati o altri organismi che intendono promuovere scelte solidali non gli farebbe male).

b) Positivo appare anche il fatto che grazie all’emergere di un movimento ecologista politicizzato – che si esprime principalmente attraverso i verdi, nei diversi paesi e con diverse modalità – le questioni dell’emergenza ambientale sono diventate un tema indiscutibilmente prioritario e un oggetto di intensa competizione politica. Visto che nelle democrazie liberal-parlamentari le cose funzionano un po’ come nel commercio, e che quindi la pluralità della domanda e la concorrenza stimolano anche l’offerta, si può sperare che tutti siano ora costretti ad aggiornare rapidamente – e sperabilmente non solo per abbellire la vetrina – il loro repertorio, cercando di colmare almeno le più vistose lacune ambientali. Non è necessario spingersi fino alle affermazioni dell’arcivescovo di Canterbury che aveva sautato recentemente (1989) nei verdi «il partito di Dio» per rendersi conto che effettivamente la presenza dei verdi, con tutti i loro innegabili limiti e difetti, ha pro dotto già nei primi anni un salutare effetto e una oggettiva spinta a occuparsi dei temi ecologici. Non si può ancora prevedere quanto delle loro promesse i verdi riusciranno a mantenere – ma proprio per questo sarebbe inammissibile, per chi abbia a cuore gli obiettivi sopra riassunti, aspettarne semplicemente il declino e il passaggio dell’ondata di attenzioni verdi. Anzi: bisogna che altre istanze che non siano solo le formazioni verdi moltiplichino e rafforzino l’iniziativa ecologista. 

Azione locale – globale

c) Un terzo punto riguarda la necessità di un nesso sempre più stretto tra impostazione e azione locale e globale. Quanto più tutti i problemi si globalizzano e risultano interdipendenti, tanto più si potrebbe essere esposti alla tentazione di invocare l’intervento di poteri e autorità superiori e di affidarvisi ciecamente, vista l’estrema complessità delle questioni e l’estrema difficoltà di risolverle, e dato il timore diffuso di restare comunque impotenti e di non sapervi intervenire efficacemente. Una svolta verso la conversione ecologica – verso pace, giustizia e integrità della biosfera – appare possibile solo se tutti decideranno di agire da inflessibili e coraggiosi «indigeni» laddove si vive e si opera – naturalmente sempre con una visione solidale e globale, ma con quello specifico radicamento e quella specifica responsabilità per il proprio «pezzetto di biosfera», attuandovi lì quell’azione che si postula per il pianeta intero: privilegiare gli obiettivi del lungo contro quelli del breve periodo, coinvolgere tutti i co-interessati, vigilare sul pareggio del bilancio ecologico. 

Localmente questi obiettivi, tra l’altro, appaiono più a portata di mano. E si deve sempre sperare che molti altri nelle loro realtà locali facciano altrettanto e si comportino altrettanto da inflessibili e solidali indigeni. 


Fonte/Testo originale: Alexander Langer ‘Giustizia, pace, salvaguardia del creato’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 3, dicembre 2005, Il Mulino.

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