Lavoro, apprendimento permanente e innovazione tecnologica
Il nesso tra lavoro, formazione e innovazione tecnologica è sicuramente uno dei temi centrali emersi dalla trasformazione dei mercati che ha preso forma a partire dagli anni Novanta del secolo scorso e che è stata caratterizzata da processi di crescente globalizzazione e dalla continua necessità di sviluppare innovazione tecnologica a ritmi sempre più veloci (da cui l’espressione fast capitalism).
In questo scenario il paradigma del capitale umano (i cui concetti di fondo erano già presenti negli anni Sessanta) ha assunto un carattere pervasivo tanto da rendere l’apprendimento permanente e la declinazione pragmatica del sapere (in termini di competenze) i due principi cardine del ‘nuovo ordine educativo’1. La necessità di continuare ad apprendere è infatti indissolubilmente legata ai processi di upskilling e reskilling, ovvero si sostanzia nell’esigenza di costruire nuove capacità e di rinnovare quelle esistenti per far fronte a improvvisi e repentini cambiamenti di scenario lavorativo, spesso causati dal sorgere di nuovi artefatti tecnologici capaci di creare o distruggere segmenti di mercato.
Il punto di riflessione principale che ha animato negli ultimi anni il dibattito su questo fronte ha poggiato le sue basi sulla dimensione temporale. Il cambiamento di ambiti lavorativi, la scomparsa, il rinnovamento e la trasformazione di pratiche professionali ha vissuto su una dinamica strutturata su processi complementari (il cosiddetto displacement-reinstatement) in cui a momenti di sostituzione del lavoro umano da parte di macchine o di dissolvimento di interi ‘mondi produttivi’ seguiva il sorgere di nuove aree di expertise – spesso cognitivamente più sofisticate e orientate verso prodotti e servizi inediti – che avevano necessità di un capitale umano pronto a muoversi in questa direzione2. La preoccupazione verteva dunque sulla effettiva possibilità di armonizzazione questi due movimenti. In caso di una velocizzazione del ritmo di innovazione, per esempio, il dubbio era se la capacità di trasformare – riconvertendole – le competenze esistenti potesse essere altrettanto rapida. Di conseguenza l’intenzionalità formativa – in particolar modo all’interno delle organizzazioni produttive – si è focalizzata sulla necessità di progettare, allestire e gestire setting formativi centrati sulla capacità di acquisire velocemente nuove informazioni e abilità, con una caratterizzazione inevitabilmente strumentale e di ‘pronto utilizzo’.
Si tratta di orientamenti di fondo che oggi non sono scomparsi, ma accanto a essi iniziano a sorgere nuovi interrogativi e nuove questioni in conseguenza di eventi trasformativi che sembrano segnare una discontinuità in relazione alla quale non sembra più possibile utilizzare categorie e argomentazioni usuali. Tale ‘salto di livello’ è principalmente rappresentato in questo momento dall’intelligenza artificiale generativa, ovvero da un tipo di tecnologia che diventa sempre più difficile collocare all’interno di una visione fondata sulla prevedibilità della sua evoluzione e su una logica di utilizzo meramente strumentale.
L’intelligenza artificiale generativa: un cambiamento di scenario radicale?
L’intelligenza artificiale generativa sta ponendo questioni decisamente inedite, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche formativo.
Prima di questa svolta si pensava che ciò che sarebbe stato ‘sottratto’ agli umani sarebbe di fatto consistito in lavori noiosi e ripetitivi (anche ad alto contenuto tecnico) e sostanzialmente non si prevedeva il rischio di competizione su ogni tipo di capacità. Di fatto, quindi, non si spostava il ragionamento molto più in là (nei termini della sua struttura) rispetto a quello proposto da Marx nei Grundisse nel 1857. La ‘piena’ sostituibilità dell’umano in una pluralità di ambiti e settori inizia invece oggi ad assumere la fisionomia di un ‘dato’ inevitabile che sembra profilarsi in modo sempre più pressante.
Un indicatore affidabile su questo cambiamento di scenario è rappresentato dai contenuti dei documenti orientativi di organismi internazionali come UE, OCSE, FMI, UNESCO, ecc. Negli studi che vengono periodicamente proposti e che si prefiggono di suggerire le conoscenze, le competenze e le abilità su cui investire per il futuro possiamo renderci conto di come sia iniziata una ‘corsa alla differenziazione’, ovvero una continua tensione a rintracciare, accentuare e proporre ciò che rende l’umano differente dalle macchine. Non è un caso, per esempio, che si suggerisca di sviluppare le conoscenze non cognitive, o soft e, in particolare, quelle inerenti a una convivenza sui luoghi di lavoro come la capacità di lavorare in gruppo, di comunicare con l’altro sintonizzandosi con i suoi stati emotivi, di darsi degli obiettivi comuni e motivarsi a raggiungerli, ecc. Tutte dimensioni ‘non ancora’ performabili dall’AI e in questo ‘non ancora’ – si veda per esempio l’OCSE Learning Compass 2030 – riusciamo a cogliere l’instabilità dello scenario che si cerca di delineare.
In altri termini, potremmo affermare che se fino a qualche anno fa su questo tema si propendeva per ragionamenti che partivano da una domanda ben conosciuta (quali lavori riusciremo a delegare alle macchine?), oggi le premesse che strutturano le differenti argomentazioni in campo prendono l’avvio da un interrogativo differente (quali caratteristiche riusciremo a mantenere che ci renderanno differenti dalle macchine?). Il ritmo a cui questo cambiamento si sta muovendo è tra gli aspetti più imprevedibili: l’AI generativa, infatti, si è presentata come vero e proprio punto di discontinuità che ha portato le aspettative (e i timori) su un piano differente3. Quanto tempo dovremo attendere una ‘singolarità’ capace di cambiare ulteriormente le prospettive?
La questione della sostituibilità è solamente uno dei fattori da considerare. Un’altra categoria di interrogativi riguarda le trasformazioni dei luoghi lavorativi. Che cosa significherà avere degli artefatti digitali come ‘partner interattivi’4 sul luogo di lavoro? Quali implicazioni in termini cognitivi, relazionali, performativi seguiranno dal doversi posizionare all’interno di ‘ambienti algoritmici’ e nell’ incontrare macchine con un proprio statuto autonomo e una propria agentività5?
Come già affermava Costa qualche anno fa:
«L’attività cognitiva non è più solo caratterizzata, come nel passato, da processi connessi alla messa in azione di strutture di saperi interni, ma distribuita tra la persona e l’ambiente esterno, inclusi quegli artefatti di cui il lavoratore si serve nella sua interazione con i dispositivi digitali e robotici. L’azione competente viene quindi concepita ed analizzata non nei singoli elementi che la compongono, ma nella modalità in cui questi elementi si influenzano reciprocamente in modo interattivo e all’interno di un processo dialogico e relazionale, quasi osmotico, con l’ecosistema digitale in cui si muovono6».
Il ruolo dell’educazione e l’ecologizzazione del pensiero
Alla luce di questi cambiamenti, le sfide educative contemporanee non possono risolversi in una visione della formazione come training, inteso come l’insieme delle competenze tecniche utili a muoversi nei nuovi ambienti lavorativi o alla diffusione ad ampio raggio di una literacy digitale. Certamente queste sono azioni indispensabili che coinvolgono una pluralità di attori e che vengono continuamente sollecitate sul piano delle policy internazionali.
Il compito educativo ha anche il dovere e la necessità di spingersi oltre. Le interazioni che sempre più prenderanno forma con artefatti digitali dotati di agentività toccano infatti una pluralità di dimensioni relative all’esperienza lavorativa: non si tratta solamente di ‘padroneggiare’ uno strumento e di sentirsi competenti su questo fronte, e nemmeno di ‘delegare’ compiti mentre si svolgono altre attività ‘umane’ più appaganti. L’esperienza su luogo di lavoro inizia a proporre nuove questioni, come per esempio l’impossibilità di scindere la propria azione da quella della macchina sulla quale sì è costruita una pratica professionale adeguata (e che ha preso le ‘sue’ decisioni autonome)7 o la ‘convivenza’ quotidiana con interfacce digitali che ampliano sempre più le loro capacità di interagire su molteplici livelli (anche quello sociale)8.
Per alcuni autori9 siamo di fronte alla sfida posta da un’‘ecologizzazione del pensiero’, intesa come necessità di pensare ecologicamente non solo la natura e dunque le interconnessioni tra tutto il vivente, ma anche un’agentitività estesa che include gli oggetti artificiali. Non è un caso, da questo punto di vista, che all’interno del quadro europeo delle competenze in materia di sostenibilità10 tra le green competences vi sia lo sviluppo del pensiero sistemico, che rappresenta una delle maggiori sfide educative attuali11 orientata alla comprensione delle trame di una complessità articolata su una pluralità di livelli e direzioni.
Note
- J. Field, Lifelong learning and the new educational order, Routledge, Stoke on Trent 2000.
- D. Acemoğlu, R. Pascual, Automation and New Tasks: How Technology Displaces and Reinstates Labor, in «Journal of Economic Perspectives», vol. 33, n. 2, primavera 2019, pp. 3-30.
- F. Cabitza, A. Campagner, C. Simone, The need to move away from agential-AI: Empirical investigations, useful concepts and open issues, in «International Journal of human-computer studies», vol. 155, 2021.
- E. Esposito, Artificial communication. How algorithms produce social intelligence, The MIT Press, Boston 2022.
- A. Galimberti, Algoritmi come partner interattivi. Riflessioni pedagogiche su contesti lavorativi ibridi, in A. Galimberti, A. Muschitiello (a cura di), Pedagogia e lavoro: le sfide tecnologiche, Aras Edizioni, Fano 2022, pp. 59-80.
- M. Costa, Agire lavorativo e formatività nelle trasformazioni del lavoro, in «Studium Educationis», vol. XX, n. 3, 2019, p. 61.
- J.W. Burton, M.K. Stein, T.B. Jensen, A systematic review of algorithm aversion in augmented decision making, in «Journal of Behavioral Decision Making», vol. 33, n. 2, 2020, pp. 220-239.
- N.J. McNeese, M. Demir, N.J. Cooke e C. Myers, Teaming with a synthetic teammate: insights into human-autonomy teaming, in «Human Factors», vol. 60, n. 2, 2018, pp. 262-273.
- E. Hörl, General Ecology. The New Ecological Paradigm, Bloomsbury, London 2017.
- G. Bianchi, U. Pisiotis e M. Cabrera Giraldez, GreenComp – Il quadro europeo delle competenze in materia di sostenibilità, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo 2022.
- A. Galimberti, Pensiero sistemico in educazione. Contesti, confini, paradossi, Franco Angeli, Milano 2024.