La filosofia è un diritto della cittadinanza

Il progetto dei Giovani Pensatori cambia lo studio della filosofia, passando dai manuali alla lettura dei testi dei filosofi.

Autore

Fabio Minazzi

Data

26 Febbraio 2024

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6' di lettura

DATA

26 Febbraio 2024

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 «La vera filosofia è legata a tutto, tranne ai soldi» Voltaire, Dizionario di filosofia

Il progetto dei Giovani pensatori scaturisce dalla volontà di contestare la tradizionale e consolidata prassi didattica con la quale si insegna la filosofia nelle scuole, restringendosi, peraltro, a una piccola élite, ovvero quella degli studenti liceali. Pertanto fin dalle sue origini – risalenti ai primi anni del nuovo millennio – questo progetto ha cercato di coniugare due differenti esigenze: quella di innovare profondamente lo studio della filosofia e quella di trasformare la filosofia in un autentico diritto di cittadinanza.

Sul primo livello si contesta la modalità con cui si fa studiare la filosofia basandosi su un manuale di storia della filosofia. Per quale ragione? Perché questi manuali finiscono, inevitabilmente, per creare una barriera, pressoché insormontabile, tra lo studente e il pensiero dei filosofi. Non solo: come già osservava Schopenhauer, il manuale costituisce una sorta di cattiva rimasticatura del pensiero filosofico, spesso effettuata da autori che per scrivere il proprio manuale non possono che tener presenti e copiare i manuali precedenti. Con il bel risultato che, se un errore si infila in questi manuali, rischia di trasformarsi in una verità intoccabile. Del resto, lo studio manualistico della filosofia determina un’altra conseguenza negativa, perché abitua lo studente a ripetere ‘come un pappagallo’ ciò che sarebbe stato detto da questo o quel pensatore. In questo caso lo studio della filosofia si trasforma in una sorta di ‘esercizio della memoria’ che non consente al discente di comprendere esattamente cosa abbia detto un filosofo e perché lo abbia detto. Al contrario, questo studio mnemonico della filosofia finisce per incrementare la tradizionale e obsoleta immagine ciceroniana della filosofia, secondo la quale non ci sarebbe follia e/o stramberia che non sia stata sostenuta da questo o quel pensatore. Del resto, lo stesso senso comune pensa che i filosofi siano tutti ‘matti’ e che non valga, quindi, la pena dedicarsi al loro studio.

Per spezzare il ‘cerchio magico’ di questo studio mnemonico e acefalo della filosofia si è allora pensato di sostituire al manuale di storia della filosofia con la lettura diretta dei testi classici dei filosofi. Per quale ragione? Proprio perché la filosofia non vive nel filosofare – ovvero nella nostra capacità di produrre nostre autonome ed eventuali riflessioni filosofiche – bensì nel filosofato, ovvero nei testi dei filosofi. La rimozione del manuale dal suo ruolo centrale e la sua sostituzione con la lettura diretta dei testi dei filosofi creano così una rivoluzione concettuale nel modo stesso di conoscere il pensiero filosofico. Se infatti si parte non dal manuale, ma dal filosofato dei classici del pensiero, cambia profondamente anche l’interazione didattica che può svolgersi in una classe. Per quale motivo? Perché di fronte al testo di un classico, ovvero al suo filosofato, immediatamente docenti e discenti si trovano collocati entro quel celebre ‘triangolo’ simmeliano, in virtù del quale il testo studiato diventa il punto archimedeo strategico per affrontare un problema che sta comunque al di là non solo dei docenti e dei discenti, ma anche dello stesso filosofo. In questa prospettiva lo studio del filosofato aiuta insomma lo studente a comprendere come la filosofia viva di precisi significati, utilizzando particolari categorie concettuali, inserendosi, a sua volta, entro una particolare e specifica tradizione di pensiero dalla quale derivano non solo i differenti termini filosofici, ma anche una nutrita serie di problemi, nonché il modo stesso con cui si cerca di affrontare e risolvere questi stessi problemi. Il filosofato ha infatti la forza specifica di introdurre il discente entro un pensiero in evoluzione che può essere colto e studiato nel suo stesso intrinseco divenire

Non solo: entro questa nuova prospettiva didattica (e culturale) docente e discenti non possono che essere alleati per cercare di meglio intendere ciò che viene letto. Da questo punto di vista il docente sarà infatti uno studente un po’ più anziano che aiuta i suoi più giovani studenti a penetrare criticamente un testo, all’interno del quale anche lo stesso filosofo si configura come uno studioso molto più ‘anziano’ che ha cercato di affrontare e risolvere un problema aperto che, inevitabilmente, va al di là della sua stessa filosofia. Questa impostazione permette, inoltre, di ancorare il nostro pensiero al filosofato dei classici, consentendo agli studenti di appropriarsi, concettualmente, di alcune categorie di pensiero e anche di alcune specifiche modalità di argomentazione, inserendosi entro una particolare e complessa tradizione concettuale. In tal modo allo studente vengono offerti differenti strumenti concettuali che il discente potrà poi utilizzare per meglio affrontare i suoi problemi e la sua stessa vita futura. In questo si radica anche il prezioso dono del filosofato che produce temi, argomenti, strumenti e differenti euristiche di cui i discenti possono appropriarsi per poi applicarle ai loro problemi, alla loro vita. Ancorando allora il filosofare al filosofato si educa il discente a meglio penetrare criticamente entro il pensiero. Per quale motivo? Proprio perché, per dirla ancora una volta con Italo Calvino, «i classici sono tali perché non hanno mai finito di dirci ciò che vogliono dirci». 

Ma oltre a questo peculiare livello didattico e culturale, esiste anche un’altra dimensione civile che il progetto dei Giovani pensatori non può che far sua. Per quale ragione? Proprio perché se la filosofia viene studiata attraverso l’analisi e la riflessione del filosofato, allora, in tal modo, si educheranno gli studenti a saper sempre meglio ragionare, coltivando un loro proprio e specifico pensiero critico. L’educazione al pensiero critico non può infatti che che scaturire da un confronto diretto e rigoroso con il filosofato con cui ogni pensatore ha cercato di comunicarci quanto ha pensato. Del resto, la filosofia o coincide con il pensiero critico oppure rischia di liquidarsi con le sue stesse mani se vuole invece mettere capo a una determinata e intrascendibile scolastica del pensiero (senza naturalmente nulla togliere all’originalità del pensiero scolastico medievale). 

La filosofia non è del resto assimilabile a una disciplina come tutte le altre discipline. Per quale ragione? Perché, perlomeno dalla ‘rivoluzione copernicana’ attuata da Kant, ha lasciato cadere la pretesa di potersi riferire a una mega-scienza omnicomprensiva analoga alla tradizionale metafisica ontologica. Al contrario, con Kant ogni filosofia si libera della metafisica in quanto tale, sviluppando un’attitudine critica affatto particolare, in virtù della quale grazie alla critica della metafisica si avverte l’esigenza di individuare una metafisica critica

Per questa ragione, come già osservava Voltaire nel suo Dizionario di filosofia, «la vera filosofia è legata a tutto, tranne ai soldi». Per quale motivo? Non solo perché il denaro si configura come mera ‘capacità di comando’, ma anche perché la filosofia studia ogni specifica disciplina utilizzando, in questo suo studio, un suo occhio critico particolare. La filosofia è così messa in una posizione specifica: non ha alcun suo contenuto privilegiato da esibire come il proprio oggetto assoluto, ma proprio per questo non può che esercitare una sistematica meta-riflessione critica in grado di portare, all’interno di ogni particolare settore disciplinare, il suo occhio critico.

Ovvero un occhio in grado di studiare le strutture architettoniche delle differenti discipline, nonché i precisi significati concettuali che vengono messi in opera da ogni particolare ambito di studio. Insomma, da questo punto di vista la filosofia si configura come una casa comune della cultura che accoglie tutte le discipline, avendo la capacitò di analizzarle criticamente anche per metterle in relazione diretta con la loro stessa matrice filosofica (spesso taciuta o del tutto negletta).

In questo senso la filosofia non costituisce una ‘super-disciplina’ perché, con umiltà, ha compreso che per parlare di questo o quel particolare oggetto deve, in primo luogo, studiare quello stesso oggetto. Non si può infatti filosofare a vuoto, ma occorre sempre riferirsi a contenuti conoscitivi determinati e specifici che la filosofia – se vuole parlarne – deve studiare in via preliminare. Proprio l’umiltà di questo gesto meta-riflessivo costituisce, invero, la forza e la specificità della filosofia. Per quale ragione? Perché la filosofia riesce a porre in relazione le differenti discipline secondo un’ottica prospettica la quale, pur radicandosi in ogni singola disciplina, tuttavia la trascende, onde configurare un nuovo e differente universo concettuale di comprensione di quelle stesse discipline. Per questa ragione ogni particolare settore disciplinare non può mai prescindere dalla riflessione filosofica. Il fatto che nel mondo contemporaneo si assista a una forma esasperata di iper-specializzazione in pressoché ogni ambito di ricerca non deve infatti far dimenticare come ogni disciplina non possa comunque ignorare il proprio stesso significato e, quindi, la sua precisa valenza filosofica. Nessuna disciplina può infatti svilupparsi rinchiudendosi in se stessa e l’occhio della filosofia dona, appunto a tutti gli esperti di un particolare settore, un occhio critico, ovvero la capacità di poter riflettere liberamente sul valore, i limiti e il significato di quelle stesse conoscenze. Per questa ragione la filosofia costituisce un autentico diritto di cittadinanza che non può più essere negato alla stragrande maggioranza degli studenti di ogni ordine e grado.

La filosofia costituisce un diritto di cittadinanza proprio perché nel mondo contemporaneo non si può essere cittadini a pieno titolo se manca la capacità di saper sviluppare un particolare occhio critico in grado di investire tutti i più diversi e disparati contesti conoscitivi. Sempre per questa ragione di fondo, – dunque una ragione di civiltà – la filosofia deve allora essere presente in tutti gli indirizzi di studio, di ogni ordine e grado, dalle scuole primarie fino a quelle universitarie. Solo in questo modo sarà possibile trasformare la filosofia da disciplina elitaria in una disciplina mercuriale che aiuta qualunque cittadino a sviluppare una sua autonoma prospettiva e visione del mondo.

Limitare oggi lo studio della filosofie alle scuole liceali è infatti sempre più anacronistico e frutto di una miopia culturale che non può che favorire la formazione – istruzionale! – di alcuni tecnici che sanno tutto della propria disciplina proprio perché non ne sanno nulla!

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