A differenza di molti altri miti, tesi a scandagliare per via semplificata gli anfratti dell’animo umano, quello di Proserpina e Demetra è strettamente materiale, legato ai cicli naturali. Anche Freud nell’indagare le medesime profondità finiva per rimandare la nostra parte terrena alla figura materna per via etimologica, segnalando la non casuale comune radice di mater, materia, e madeira, ovvero il maternalissimo legno (Introduzione alla Psicoanalisi, 1915).
Il medesimo ciclo naturale cercato dal Mito negli Inferi plutonici viene poi contestualmente indagato e identificato in modo scientifico nel moto degli astri, rintracciandovi la prima forma di regolarità da cui derivare azioni di tipo economico accumulativo attraverso i due paradigmi capitalistici del Magazzino e della Diga, entrambe operazioni che scavalcano il periodo annuale in ottica non solo di conservazione ma anche di espansione politica delle civiltà urbane e imperiali.
Dal moto degli astri al pensiero economico
La dipendenza dall’interpretazione del moto degli astri, grazie al suo equilibrato rinnovarsi annuale, non ha solo informato l’antica cura idraulica dell’agricoltura o la connessa sapienza divinatoria astrologica, ma è rimasta come struttura del nostro pensiero anche nell’età moderna, quando si forma in modo scientifico il pensiero economico.
Due i rimandi astronomici principali: il Tableau Economique dei Fisiocratici, che fondano per la prima volta in modo matematico uno schema del funzionamento dell’economia materiale disegnata sul ciclo annuale agricolo, ma soprattutto lo schema walrasiano di Equilibrio Economico Generale, ovvero la formalizzazione dell’operare dell’ipotizzata Mano Invisibile di Smith.
Nel caso della schematizzazione di Walras, più ancora che in quella coeva di Menger, l’influsso della legge newtoniana circa la relazione fra massa e distanza degli astri mediata da una visione meccanicista cartesiana indica nel modello dell’equilibrio gravitazionale la legge universale dell’economia umana, identificata nel momento finale dello scambio sui mercati, proprio perché in questa costellazione di mercati tutte le forze antitetiche delle domande e delle offerte trovano un valore univoco universale, tradotto dalla moneta in una lingua universalmente comprensibile.
Che il mondo materiale sia completamente interconnesso è un dato indiscutibile, così come il fatto che queste interconnessioni abbiano aspetti differenti per epoca o località, o come l’operare delle forze che governano domanda e offerta dei beni e servizi, organizzate nei mille modi che conosciamo: generi tensioni, disequilibri e aggiustamenti dinamici.
Genesi di un prezzo d’equilibrio
Ma ciò che ci interessa qui è la visione di una cosmologia e dell’equilibrio che ne deriva. Se osserviamo il meccanismo con cui si forma il prezzo in un qualsiasi mercato di domanda e offerta di un bene o di un servizio sappiamo che, in condizioni di perfetta conoscenza e in assenza di posizioni dominanti su entrambi i lati, l’equilibrio ottimale si raggiunge quando i costi incontrano la domanda, annullando la variabile spuria del profitto, ovvero il surplus contenuto nel prezzo. La positività contenuta nel termine equilibrio trova una sua spiegazione proprio nel mondo più apparentemente ingiusto che esista, ovvero quello dello scambio dove chi compra remunera i fattori di produzione senza lasciare nulla che ecceda. L’equilibrio raggiunto con un simile prezzo è il massimo che chi compra poteva sperare di ottenere e il minimo per chi l’ha prodotto.
L’istituzione di un Commissario alla Concorrenza presso la Comunità Europea è legata a questo tipo di positività vista dal lato del consumatore, il quale sa che azzerati tutti i vantaggi informativi o di posizione dei produttori, il prezzo che andrà a pagare è il minore possibile. Si tratta anche di un prezzo di equilibrio, dove le tensioni produttive cessano cioè di essere tali, perché impossibilitate a raggiungere margini positivi pur restando aliene dalla negatività della perdita.
Il prezzo raggiunto così dall’equilibrio di concorrenza perfetta (altri termini dalla forte valenza positiva) trova una sua ulteriore affermazione quando Barone ne “Il Ministro della Produzione nello Stato Collettivista” (Milano 1908) indica l’uguaglianza di risultato fra un’economia concorrenziale e l’informatissimo Ministro dello stato collettivista, ipotesi su cui si è poi fondata l’economia sovietica che di lì a poco avrebbe rappresentato l’opposizione al mondo occidentale. Contestualmente gli economisti, in scia allo stesso Smith e al Positivismo che coltivava una prospettiva progressista, cercavano di sfuggire a questa visione stazionaria così in contrasto con la realtà dei fatti, indagando sulle forze determinanti di un progresso necessariamente disequilibrante.
Staticità versus dinamismo
Non ci avventuriamo oltre in questioni di Storia del Pensiero Economico, ma è interessante notare come la figura imprenditoriale ipotizzata come motore da Schumpeter o quella dell’accumulazione intertemporale ipotizzata da Bohm-Bawerk (riabilitando una figura marginalissima e visionaria del pensiero economico come quella di John Rae) indichino in una progressione non circolare lo schema di analisi economica più aderente alla realtà visibile, in contrasto con il decisamente statico modello copernicano che sta alla base della teoria dell’equilibrio economico generale. La linearità, sia pur ciclicamente altalenante, del nostro mondo visibile contrasta con la circolarità convergente del mondo materiale, visto nel solo momento in cui tutto possiede la stessa lingua comprensibile, ovvero quello dello scambio, ma in cui niente si spiega.
La Fisica, che al solito appare sempre più avanti delle altre scienze, aveva già da tempo abbandonato una visione tendenzialmente stazionaria dell’equilibrio cosmico, introducendo variabili di natura temporale tese a modificare direzione e percezione dei fenomeni, segnalando come queste leggi dinamiche debbano essere contemporaneamente rintracciabili nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande. Fu proprio la Termodinamica a spingere la ricerca ad affrancarsi dalla rigidità matematica delle leggi, proprio per cercare di dare spiegazione ai fenomeni reali causati da azioni che coinvolgono materia ed energia sin dai lori più minuscoli componenti.
Gli economisti, meno inquieti dei fisici ma rispetto a loro più preoccupati di dover tirar fuori ricette efficaci, hanno continuato a sperare di poter inferire un mondo meno complesso di quel che è, aggrappandosi al ceteris paribus di inerzie esogene che non si accorgono della loro presenza riformatrice e alle quali, seguendo l’indicazione di Archimede e delle sue leve cosmiche, basta individuare il punto di appoggio su cui operare.
Viviamo in un disequilibrio dinamico
La necessità baconiana dell’esperimento che convalidi l’ipotesi trova nel fluire eracliteo della nostra vita un difficile campo di applicazione. Ma, soprattutto, è il momento in cui si guarda a cambiare la prospettiva. Per quanto, come affermava il cinico (e baro) Keynes, sia inutile far di conto troppo in là perché tanto, a un certo punto, saremo tutti morti.
Il disequilibrio dinamico in cui viviamo è dunque cosa negativa, come sembra etimologicamente indicare il termine? Sicuramente sì, se neghiamo l’assioma di Hobbes per cui la felicità umana non consiste nel riposo di una mente soddisfatta. Ma altrettanto sicuramente no, se comprendiamo come proprio la ricerca individuale e collettiva di un miglioramento, teso a sfuggire ogni stato presente, sia il motore del mondo, essendo proprio il Tempo di Bohm-Bawerk la dimensione dell’agire umano, piuttosto che l’atemporalità entropica dei mercati concorrenziali.
Trattandosi di Uomo non possiamo pertanto immaginare nessun equilibrio come termine di un percorso inerziale puramente gravitazionale. Posto così un qualche dubbio sulla natura dell’equilibrio nell’economia dell’Uomo, resta da capire se la positività etimologica del termine resiste almeno nello Stato di Natura.