L’attesa intorno ai decreti normativi/attuativi e regole tecniche che governeranno il sistema nazionale delle Comunità Energetiche si è oramai dissolta. Ma che cosa ci sarà ‘oltre la normativa’? Su che cosa potrebbero vertere i dibattiti dopo un così lungo attendere?
Le tematiche candidate sono diverse, ma nessuna di esse probabilmente potrà generare una suspense degna di Hitchcock, come quella che si è verificata negli ultimi due anni in relazione alla normativa nazionale sulle Comunità Energetiche. Ciò non toglie che la discussione non possa essere altrettanto stimolante.
Dal punto di vista tecnico, sarebbe doveroso spiegare la complessità di incastrare questi nuovi piccoli sistemi di gestione dell’energia locale in un sistema elettrico concepito come una colonna vertebrale di una nazione.
Indispensabile inoltre chiarire quanto importante sarà il cambiamento dei consumi di energia delle famiglie per incrementare l’impiego istantaneo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Ovviamente, la tecnologia viene in supporto nei diversi frangenti di queste sfide. Se a livello di integrazione e coordinamento con il sistema nazionale questo ragionamento appare abbastanza ovvio (soprattutto con il grande ricorso ai sistemi di accumulo), negli ultimi anni ci si è concentrati sullo sviluppo di soluzioni informatiche per la gestione della singola Comunità Energetica, mentre molto ancora c’è da comprendere in relazione alla gestione ottimale dei consumi domestici. La domotica si è diffusa negli anni, ma più in relazione a specifiche esigenze degli inquilini o come soluzioni di comfort.
Con l’avvento delle Comunità Energetiche, centrale sarà la scelta tra consumare l’energia autoprodotta, ricevuta in scambio, concessa alla comunità nonché venduta e acquistata dalla rete nazionale. Tale scelta dovrebbe essere definita sulla base delle preferenze di ciascun individuo, che ovviamente potrebbero essere diverse e a volte anche in contrapposizione: non sempre la strategia che minimizza l’impatto ambientale del consumo energetico potrebbe coincidere con la soluzione che minimizza il costo netto dell’energia sostenuto.
Queste diverse considerazioni potrebbero determinare, a titolo esemplificativo, l’orario ottimale di accessione della lavastoviglie. Ovvio pensare che, nell’era digitale, tutto questo possa essere gestito tramite una app.
Se fino a ora si è parlato di potenziali benefici ambientali ed economici, è doveroso menzionare il terzo beneficio facente parte di questo tradizionale trittico, ovvero ‘la dimensione sociale’, che ripetutamente è stata associata alla capacità che le Comunità Energetiche potranno avere di ridurre la povertà energetica.
Facciamo allora un passo verso ‘l’oltre’ rispetto alla narrazione che ha accompagnato la tematica delle Comunità Energetiche in questo ultimo anno.
Integrare le Comunità Energetiche nel sistema elettrico nazionale
Si è spesso sentito dire che le Comunità Energetiche possono portare benefici al sistema elettrico. Questo è vero, ma avviene solo se le comunità vengono aggregate e –successivamente – funzionano con una logica che risponde a quelle che sono le esigenze della rete locale. Queste necessità si possono sintetizzare nel contribuire a mantenere in equilibrio domanda e offerta sulla rete locale, consentendo un maggiore utilizzo dell’energia che proviene dalle fonti rinnovabili che si trovano fisicamente vicine alla comunità. Il successo dell’operazione si basa anche sulla possibilità per la comunità di rispondere alle esigenze della rete di distribuzione a cui è connessa: questo non è sempre facile, dal momento che l’infrastruttura ha caratteristiche diverse nei differenti territori e spesso non sono note a chi sta lavorando per costituire la comunità; un secondo motivo – ma non per importanza – è che non sempre c’è una precisa corrispondenza tra gli incentivi che vengono dati alle comunità e il loro effettivo impatto sulla rete. È comprensibile che ciò avvenga in una fase di start-up delle iniziative, quando è necessario superare le resistenze dei consumatori rispetto all’adesione alle comunità, ma nel tempo ci si dovrà orientare su un sistema di incentivi e contratti (con gli operatori che gestiscono la rete di distribuzione, Distribution System Operator – DSO, per esempio) che premino davvero chi sta contribuendo a integrare le energie rinnovabili presenti sul territorio, favorire il bilanciamento tra domanda e offerta sulla rete locale e, in generale, a ridurre gli oneri di sistema con un uso più efficiente dell’energia.
Cambiare le abitudini di consumo per favorire l’autoconsumo istantaneo
I primi passi per rendere le Comunità Energetiche realmente ‘utili’ al sistema elettrico e – grazie a un minor ricorso all’energia prodotta da fonti tradizionali – all’ambiente si muovono attraverso la sensibilizzazione degli utenti rispetto al ‘tempo’ di consumo. Per anni, in Italia, il sistema di tariffazione biorario ha seguito uno schema maggiormente legato alle esigenze di consumo industriale e commerciale (energia meno cara tra le sette di sera e le otto del mattino, stessa tariffa per i fine settimana). Questa impostazione, tuttavia, è diventata progressivamente obsoleta con l’introduzione della produzione fotovoltaica, che ha una finestra di produzione speculare. Ovviamente, la produzione fotovoltaica, avendo priorità di dispacciamento (ovvero essendo ‘preferita’ rispetto alle altre nell’immissione e suo uso in rete), viene comunque consumata dal sistema nel corso delle ore diurne: ciò che fa differenza è il luogo dove questa viene consumata in relazione a dove viene prodotta.
Le Comunità Energetiche avranno il ruolo di educare e sensibilizzare i propri aderenti a una maggiore consapevolezza nell’uso dell’energia: il messaggio, trattandosi di un bene da acquistare, verrà veicolato attraverso un (minor) prezzo dell’energia quando il consumo avviene ‘in armonia’ con la fonte rinnovabile presente sul territorio. Sarà inoltre importante comunicare il valore ambientale che questo sforzo individuale contribuisce a creare, chiarendo bene i rilevanti benefici futuri attesi.
Appare abbastanza naturale che i Comuni svolgano un ruolo rilevante nella promozione delle Comunità Energetiche Rinnovabili: in primo luogo, essi hanno modo di raccogliere l’adesione di un ampio numero di partecipanti grazie al loro ruolo istituzionale, riducendo in questo modo alcune delle possibili barriere all’adesione (es. credibilità); i Comuni, inoltre, hanno spesso già identificato e quantificato i propri obiettivi ambientali (riduzione della CO2 e dei consumi) per contribuire alla transizione energetica, e pertanto i progetti che sviluppano hanno già chiari obiettivi stabiliti e spesso possono sviluppare progetti che portino sinergia tra i consumi pubblici (es. scuole, palestre…) e quelli privati delle famiglie.
Il fatto che i Comuni possano avere dei vantaggi ‘competitivi’ nell’aggregare le persone non mette sicuramente in secondo piano le Comunità Energetiche promosse da privati. Le iniziative private, infatti, possono avere un vantaggio dal punto di vista della costruzione di progetti che siano effettivamente efficienti e vantaggiosi dal punto di vista economico – e monetario in particolare – dal momento che questo risulta il principale motore dell’aggregazione.
Sia nel caso di iniziativa pubblica sia nel caso privato, sembra che sia ancora piuttosto limitato il confronto con chi gestisce tecnicamente la rete a livello locale (i distributori cui si accennava sopra), che in questo momento sono principalmente chiamati a rendere possibili i progetti, senza poter suggerire soluzioni efficienti riguardanti, per esempio, la loro collocazione. Pur essendo questo un aspetto dello sviluppo del sistema elettrico problematico, va riconosciuto che il settore è fortemente regolato e in questo momento devono essere mantenute rigorose suddivisioni in termini di competenze e ruoli, aspetti che non è escluso che verranno almeno parzialmente modificati nei prossimi anni.
Il ruolo della digitalizzazione
La possibilità quindi di creare Comunità Energetiche, gestirle ottimizzandone i consumi, mandare informazioni sul prezzo dell’energia agli utenti in tempo reale, gestire le risposte ai prezzi con l’uso delle app, presuppone che esistano alcune condizioni che riguardano la rete informatica e l’uso che le persone ne sanno fare.
Innanzitutto, la rete – in questo caso Internet – deve essere affidabile, e sappiamo che questa non è ancora una realtà uniforme in Italia. La presenza di infrastrutture con diversi livelli di affidabilità creerebbe a disparità nel Paese e aumenterebbero quelle già strutturalmente presenti e che da decenni si cercano di combattere.
L’abilità nell’uso delle tecnologie è anche legata a fattori quali età, istruzione e reddito: non tutti hanno le stesse capacità e competenze, e ignorare questo aspetto nello sviluppo di programmi per mettere i consumatori ‘al centro’ del sistema elettrico sarebbe un grave errore. Lo sviluppo delle Comunità Energetiche dovrebbe prevedere anche un percorso di alfabetizzazione informatica che ancora non raggiunge in modo omogeneo i cittadini.
L’ultimo tema, ma sicuramente non per importanza, è legato a possibili implicazioni di privacy che i partecipanti alle Comunità Energetiche si troveranno a valutare: fino a che punto sono disposto a mostrare le mie abitudini di consumo, cui sono legate, per esempio, anche le informazioni su come vivo e quanto sono presente in casa, allo scopo di ridurre i miei costi energetici e il mio impatto sull’ambiente? Le reti che utilizzeranno le Comunità Energetiche, oltre che stabili, saranno anche sicure? Sul rischio di hackeraggio e sulle potenziali soluzioni in termini informatici negli scorsi anni si è scritto molto e il rischio si potrebbe dire – nei limiti del possibile – neutralizzato. Ma per quanto riguarda invece i dati che trasmetteremo e l’uso che ne farà chi li potrà vedere, di questo c’è ancora molto su cui riflettere.
Comunità Energetiche e povertà energetica
Se i benefici economici e ambientali delle Comunità Energetiche possono essere di facile quantificazione, più complessa è invece la determinazione dei benefici sociali. All’interno di quest’ultima categoria troviamo la possibile mitigazione della povertà energetica.
Dall’analisi di un’indagine realizzata nell’ambito del progetto Community Energy for Energy Solidarity – CEES, che vede il coinvolgimento di 77 Comunità Energetiche in 14 Paesi europei, si trova evidenza che poche tra queste riescono ad avere un impatto su questo fenomeno. In particolare «anche se la maggioranza (57%) delle Comunità Energetiche coinvolte riconosce che la povertà energetica è un problema rilevante, poche hanno adottato soluzioni efficaci su tale fronte».
C’è inoltre da considerare, e non sottovalutare, la complessità di coinvolgere coloro che si trovano in tale condizione. Esulando dal fatto che chi promuove la Comunità Energetica debba avere una conoscenza del fenomeno, non sempre è possibile ‘trovare’ facilmente tali soggetti, a causa della sensibilità delle informazioni necessarie per verificarne lo status. Una delle possibili soluzioni la troviamo, ancora una volta, nella collaborazione con il settore pubblico. Comuni ed enti locali hanno infatti maggiori strumenti per monitorare il fenomeno e assicurarsi che i soggetti contraddistinti da questa situazione vengano coinvolti.
Sarà inoltre di cruciale importanza la campagna informativa recentemente avviata nei confronti della società civile. Ulteriori attività mirate dovranno essere dedicate alle categorie che hanno difficoltà a gestire queste opportunità, principalmente a causa della loro condizione di vulnerabilità. In tale frangente, centrali potrebbero essere le competenze del Terzo Settore.
Infine, l’identificazione di una metrica di impatto della Comunità Energetica in tale senso rappresenterebbe sicuramente un pregio per ogni progetto che incidesse positivamente sul fenomeno.
Resta ovvia la necessità di una attenzione generale da parte di ciascun cittadino interessato a partecipare a una Comunità Energetica verso gli obiettivi della stessa in ambito sociale. Essere membri di una Comunità Energetica non dovrebbe solo implicare l’ottenimento di benefici economici e ambientali, ma anche un’attiva partecipazione al raggiungimento degli obiettivi sociali. Solo così, una comunità potrebbe davvero essere tale.
Conclusioni
Con questo breve contributo si è cercato avviare una riflessione sulle Comunità Energetiche ‘oltre il decreto’. Come spesso accade, l’esercizio ha portato a evidenziare soprattutto le principali barriere. Oltre alle sfide ‘dirette’, sono altrettanto rilevanti quelle ‘collaterali’, quali l’alfabetizzazione informatica, l’infrastrutturazione e, in generale, la formazione dei cittadini sui temi energetici e della transizione ecologica. Lavorare su questi aspetti può sembrare un investimento in più, ma è l’investimento che consentirà di far fruttare quello primario – in energie rinnovabili e comunità – e di garantire un futuro più sostenibile ed equo a tutti e a tutte.
Le autrici sono coinvolte nel progetto PNRR GRINS – Growing Resilient, INclusive and Sustainable ( GRINS PE00000018 – CUP C93C22005270001), finanziato dall’Unione Europea – NextGenerationEU. I punti di vista e le opinioni espresse sono esclusivamente quelle degli autori e non riflettono necessariamente quelle dell’Unione Europea, nè può l’Unione Europea essere ritenuta responsabile per esse.
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