Sotto i nostri piedi l’acqua è un caveau di energia

Nel valutare la prospettiva futura dei sistemi di accumulo, ragionando in termini ecologici, esistono due alleati gratuiti fornitici dalla Natura: la forza di gravità e l’accumulo termico del terreno.

Autore

Giuseppe Santagostino

Data

19 Febbraio 2024

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6' di lettura

DATA

19 Febbraio 2024

ARGOMENTO

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L’acqua dolce è notoriamente un cattivo conduttore ma, per lo stesso motivo, è un buon accumulatore di energia, fatto questo che sommato alla sua natura liquida e al suo basso costo lo rende il fluido d’elezione nel trasporto e nella conservazione dell’energia termica a qualsiasi temperatura lo si consideri.

La funzione di trasporto con cessione del calore e quella di generazione di energia meccanica dell’acqua opportunamente riscaldata è all’origine di tutti i sistemi di riscaldamento e di trazione (il motore di Watt è alla radice della Rivoluzione Industriale inglese) ma nella prospettiva odierna diventa importante anche la sua potenzialità di accumulo dell’energia termica prodotta in eccesso rispetto ai consumi.

Negli impianti di condizionamento questa funzione di accumulo si sostanzia tradizionalmente nei serbatoi volano destinati a sopperire i picchi di richiesta e ad assorbire quelli di produzione. Chiaramente negli impianti tradizionali a combustione, come in quelli di condizionamento in pompa di calore alimentati dalla rete elettrica, tale volano ha dimensioni ben determinate da calcoli termotecnici, tesi ad ottimizzare la produzione dei nostri conosciuti generatori a fronte di consumi prevedibili.

Nel mondo che cambia, le energie rinnovabili disponibili molte volte si presentano sotto forma assai più erratica del gas o della corrente elettrica, e quindi la loro potenzialità produttiva non sempre si incontra esattamente con i consumi ponendo in modo drammatico il problema dell’accumulo di energia elettrica, come abbiamo visto negli articoli precedenti, al fine di distribuire l’energia prodotta senza ricorrere necessariamente alle ‘sicure’ produzioni termoelettriche non rinnovabili, sempre disponibili alla bisogna.

Un problema analogo sorge quando la produzione di energia termica manifesta dei limiti legati all’efficienza delle macchine (tipicamente la PdC che ha fattori di rendimento tanto più elevati quanto minore è la temperatura prodotta) e quindi in un bilancio ottimale dei risparmi energetici può essere necessario aumentare le quantità degli accumuli a disposizione.

Se osserviamo poi la questione in ottica distrettuale/territoriale, ovvero sganciandoci dagli impianti singoli normalmente progettati, l’ottimizzazione degli accumuli raggiunge dimensioni ragguardevoli, ponendo normalmente seri problemi di stoccaggio, basti pensare alle dimensioni degli edifici chiamati ad ospitare tali serbatoi di accumulo: ciò incrementa considerevolmente i costi delle reti rispetto a quelli degli impianti singoli, venendosi altresì a sommare all’antieconomica distribuzione di caldo e freddo per mezzo di tali reti di grande lunghezza e capienza. 

È noto che proprio nella produzione del caldo su reti territoriali non entrino in gioco le economie di scala immaginabili ma si aggiungono i costi legati alla necessità di alimentare masse di acqua assai elevate, volani termici e vasi d’espansione compresi. Si sa (relazione Arera) che i costi dei teleriscaldamenti eccedono quelli delle produzioni individuali e ciò comporta non solo un problema economico, parzialmente temperato dall’assenza di costi per gli impianti individuali sostituiti da ben più semplici scambiatori di calore, ma soprattutto ecologici, visto che a maggiori costi relativi, maggiori consumi assoluti.

Ora proviamo a cambiare prospettiva astraendoci per un momento dal calore che dobbiamo necessariamente accumulare per i nostri impianti, singoli o collettivi, e proviamo quello che esiste indipendentemente dalla produzione termica specifica e quali forme di accumulo sono attualmente disponibili: sappiamo già che la geotermia impiega proprio  il caldo accumulato nel terreno e nell’acqua di falda per alimentare le PdC, e osserviamo ora le potenzialità di accumulo fornite dallo stesso terreno/falda.

L’acronimo anglosassone che identifica tale forma di stoccaggio è ATES (Aquifer Thermal Energy Storage) (Underground Water Could be the Solution to Green Heating and Cooling – Berkeley Lab – Berkeley Lab News Center (lbl.gov)) ovverosia la potenzialità disponibile per accumulare nel sottosuolo quote di energia termica prodotta in eccesso da energia rinnovabile e, altra attività sommamente ecologica, dal recupero dei cascami termici variamente prodotti: si tratta di una potenzialità assai interessante proprio negli utilizzi di energia distribuita e negli ultimi anni molta letteratura è comparsa su questo argomento di sicuro fascino.

La possibilità di stoccaggio sotterraneo è strettamente legata a un fattore critico, ovvero la velocità con cui si muovono le acque sotterranee, senza peraltro trascurare la possibile formazione di flora legata agli incrementi di temperatura nei cosiddetti pozzi caldi, mentre questo problema non si pone nei corrispondenti pozzi freddi: nello studio di riferimento allegato in abstract (Enhancing flexibility for climate change using seasonal energy storage (aquifer thermal energy storage) in distributed energy systems – ScienceDirect) si propone un modello matematico per stimare l’efficacia di tali sistemi in assenza di infrastrutture specifiche.

Considerazioni apparentemente collaterali sono state sviluppate in alcune tesi di laurea del Politecnico di Milano sugli effetti delle  barriere offerte dalle metropolitane sui movimenti della falda sotterranea (https://www.politesi.polimi.it/handle/10589/144345; https://www.politesi.polimi.it/handle/10589/131439; et alia) dove si osserva quanto e come i manufatti sotterranei posti ad altezza congrua abbiano un effetto di sviamento sul moto della falda.

Ora due cose apparentemente distanti (l’accumulo di energia termica calda e/o fredda nel sottosuolo e l’effetto barriera offerto dalle costruzioni sotterranee) segnalano un punto di ricerca sicuramente rilevante nello sviluppo delle tecnologie ATES in ambito urbano, potendo tali manufatti involontariamente rappresentare il primo di tre lati di un possibile stoccaggio delimitato, indipendente dunque dal movimento ininterrotto della falda e quindi assai più facilmente impiegabile in sistemi territoriali: la stratificazione termica fa poi il suo lavoro noto, consentendo di utilizzare in modo ancor più efficiente tale importante prospettiva per diminuire i carichi di emissioni: si calcola infatti un incremento di efficienza che porta a risparmi pari al 40% sui sistemi tradizionali di condizionamento.

Nel valutare la prospettiva futura dei sistemi di accumulo se ragioniamo in termini strettamente ecologici esistono dunque due alleati gratuiti fornitici dalla Natura dai quali non dovremmo prescindere: la forza di gravità e l’accumulo termico del terreno, pur prevedendo anch’essi investimenti per poter venire messi a reddito, sono i nostri principali alleati nelle strategie di decarbonizzazione ma richiedono visione e capacità di programmazione territoriale.

Qualcosa di analogo a quella mostrata a suo tempo da Lodovico il Moro e Leonardo dando la spinta decisiva al sistema dei Navigli, opera poetica sul potere della forza di gravità.

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