Decarbonizzare i trasporti stradali: una sfida complessa

La mobilità verde non si raggiunge con la sola elettrificazione e le politiche comunitarie di incentivi sembrano dimenticare l’esistenza di un mercato dell’usato.

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Antonio Sileo

Data

17 Ottobre 2023

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17 Ottobre 2023

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La decarbonizzazione dei trasporti stradali e più in generale il contenimento degli impatti ambientali è questione tutt’altro che semplice, che pur riguardando tutti i mezzi impone una serie di distinguo. Innanzitutto, le distinzioni vanno fatte tra autovetture e autoveicoli commerciali leggeri, accomunati dalle stesse regole e veicoli (camion e autobus). Per questi ultimi infatti l’elettrificazione con batterie elettrochimiche – scelta invece prioritariamente per auto e furgoni – non potrà essere sufficiente, ma – anche secondo la IEA – sarà necessario ricorrere all’idrogeno, utilizzato anche per  treni, specie in zone a difficile elettrificazione1. Per auto e veicoli commerciali, la strada per la decarbonizzazione nelle intenzioni di molti e anche della Commissione Europea sarebbe dovuta essere quella dell’elettrificazione totale, vale a dire auto e furgoni soltanto elettrici (Battery Electric Vehicle), con le ibride ricaricabili (plug-in) e non considerate solo dei passaggi intermedi. Un approccio monolitico, spesso proposto anche sui media, che non ha resistito alla volontà della Germania di includere, con l’imposizione di un accordo alla Commissione, anche gli elettro-combustibili (e-fuel), che potranno essere usati dalle auto con motore a scoppio persino dopo il 2035 (data in cui le autovetture nuove in commercio dovranno avere emissioni di CO2 azzerate). Questi dunque si affiancano all’idrogeno e aprono un varco anche per i biocarburanti avanzati2, che saranno utilizzati anche dai veicoli pesanti. 

In questo senso, l’elettrificazione della mobilità è composita e al contempo la via della decarbonizzazione può passare per soluzioni che non contemplano l’elettrificazione totale del parco circolante dei veicoli commerciali. Si tratta ora di illustrare quale è stata negli ultimi anni la strategia adottata dall’Unione Europea per incentivare la transizione verso la mobilità verde, in seguito evidenziare la rilevanza del mercato dell’usato e infine suggerire alternative per raggiungere la decarbonizzazione prevista dall’Accordo di Parigi.

Le politiche comunitarie per incentivare la mobilità verde

In Europa, da tempo sono state approntate politiche volte a contenere gli impatti ambientali degli autoveicoli sia per ridurre le emissioni climalteranti a cominciare da quelle di anidride carbonica (CO2) sia per abbattere quelle degli agenti inquinanti (ossidi di azoto, particolati, idrocarburi incombusti), ma anche, con sempre più severi standard, contenere l’inquinamento acustico. Sono mancate, non troppo stranamente, se si pensa alle vetture di più grandi dimensioni, delle misure volte a contenere gli ingombri, a differenza invece del Giappone dove storica è l’attenzione favorevole alle vetture di piccole dimensioni. Ciò ha prodotto in seno ai regolamenti europei il paradosso del SUV, giacché tali regolamenti cercano di non sfavorire le auto più grandi, e dunque più pesanti, a discapito di quelle più piccole e inevitabilmente più leggere. A tal proposito, si noti come nel computo dell’obiettivo di emissione delle diverse case automobilistiche, la massa media delle vetture immatricolate nell’anno funga da fattore calmierante: maggiore la massa, meno stringente l’obiettivo (e viceversa). Ed è così che si arriva al paradosso di criticare i SUV e ‘incentivarli’ ab origine. Questa stortura ha già determinato una significativa contrazione dell’offerta delle super-utilitarie.

Si osserva inoltre che la definizione di veicolo verde, e quindi a zero emissioni, attualmente in vigore, considera esclusivamente le emissioni dirette, allo scarico, quando invece andrebbe tenuto presente l’impatto dell’intero ciclo di vita del veicolo (produzione-utilizzo-dismissione). L’approccio dell’Unione, infatti, specie dopo le ultime iniziative – in particolare il cosiddetto pacchetto Pronti per il 55% (Fit for 55) – dell’attuale Commissione3, pare prioritariamente orientato alla sostituzione delle numerosissime vetture circolanti con altrettante automobili nuove, essenzialmente elettriche. Un approccio tanto ambizioso quanto criticabile sul piano dell’efficacia della strategia dell’Unione. Pare, invero, tutt’altro che scontato, in particolare alla luce delle più recenti dinamiche di immatricolazione, che automobili nuove a batteria sostituiscano, in un tempo coerente con gli obiettivi comunitari, i 250 milioni di automobili circolanti sulle strade europee nel 2022.

Infine, come risulta anche dal grafico, gli incentivi miliardari per modificare l’offerta (ma anche la domanda) di veicoli commerciali hanno avuto effetti esigui se si pensa che la penetrazione nel parco circolante italiano di auto-elettriche e ibride plug-in non si è avvicinata neanche all’1%, con le sole elettriche intorno al 0,4%. Non solo. I dati disponibili più recenti rivelano che la crescita delle immatricolazioni di auto elettriche potrebbe essere una semplice bolla da incentivi: la fine degli incentivi in Germania ha infatti comportato a gennaio 2023 un crollo delle immatricolazioni delle ibride plug-in del 53,2%, mentre la riduzione del sussidio per le elettriche si è tradotta in una flessione del 13,2% delle vendite sempre rispetto al gennaio 2022.

La realtà innegabile del mercato dell’usato

In definitiva, le misure europee hanno certamente contribuito a plasmare l’offerta, cioè banalmente i veicoli disponibili in listino, che finché sono soltanto sulla carta e non sulla strada, non contribuiscono alla decarbonizzazione: tale trasformazione dell’offerta non ha pertanto intercettato le esigenze aggregate della domanda. In effetti, i consumatori delusi potranno sempre ripiegare su un abbondante succedaneo dell’auto nuova: quella usata. Ed è su questo punto che entra prepotentemente la realtà innegabile del mercato dell’usato a incrinare la politica comunitaria top-down. In questo contesto, si osserva – come espresso anche dal precedente grafico – l’importanza del mercato e ancor di più del parco circolante automobilistico italiano, che da solo pesa più di Belgio, Danimarca, Olanda e Svezia messi insieme. Pertanto, diventa evidente dal grafico sottostante il peso di veicoli persino ultraventennali presenti nelle regioni italiane presumibilmente più ricche (e più popolate). Al Nord, infatti, risulta che il 35% del parco circolante è costituito da auto ultra ventennali, che al netto di auto d’epoca o da collezione, offrono un dato difficile da ignorare per porre seriamente la questione della decarbonizzazione del settore.

La questione della decarbonizzazione, pertanto, incontra la realtà delle differenze socio-economiche, per cui l’acquisto di un’auto-elettrica, di alta gamma o meno, risulterà comunque un’opzione possibile soltanto ai redditi medio-alti, che potrebbero puntare su un veicolo elettrico ad alte prestazioni, portato quindi anche a lunghi spostamenti, oppure scegliere più veicoli tra i quali, ad esempio, un’utilitaria elettrica e un’altra auto per i viaggi lunghi. In questo modo, il sottobosco dell’usato si spiega facilmente per via del fatto che una vecchia utilitaria a benzina o diesel rimarrà comunque più funzionale per i redditi bassi rispetto all’omologa elettrica, semplicemente in virtù della breve autonomia dei veicoli elettrici standard: si passa da una media inferiore ai 200/300 km ai 600 km (dichiarati) di autonomia dei modelli di punta di Mercedes, Tesla e BMW. Ciò significa che l’auto elettrica non è ancora competitiva sul fronte delle utilitarie. Insomma, vi è un importante divario nel rapporto soddisfacimento dei bisogni e prezzo che non tutti sono disposti a pagare. La tecnologia, dunque, deve ancora compiere dei passi per rendere l’auto elettrica un vero e proprio veicolo di massa.

Quali alternative per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione? 

A proposito di sviluppo tecnologico, non tutti hanno pensano di mettere tutte le uova nello stesso paniere (elettrico), basti guardare al motorsport, cioè dalle varie forme di sport automobilistici dalla Formula 1 al campionato mondiale di rally (WRC). Dopotutto, sono state spesso le innovazioni in questa sede a passare poi sulle strade e le auto di tutti i giorni. Per esempio, le auto della WRC sono alimentate già dal 2022 interamente da una benzina completamente non fossile che può essere utilizzata tranquillamente sui mezzi normali e non ha un costo eccessivo come carburante ad alta prestazione: meno di 6 euro/litro, incluso trasporto e servizio di rifornimento in gara. In effetti, gli elettro-combustibili neutrali, a cominciare dagli e-fuel sono oggi troppo costosi per un normale uso commerciale. Ma guardare i numeri di oggi non ha molto senso. Molto più serio parlarne tra una decina d’anni, quando si saranno concretizzati gli impegni di chi ci sta lavorando dalla Porsche alla Formula 1, che insieme al suo principale sponsor Saudi Aramco, è impegnato nello sviluppo di un carburante neutrale con la dichiarata finalità di renderlo un prodotto di massa. Dopotutto, il grande gruppo di idrocarburi detenuto dallo Stato saudita si propone di arrivare a emissioni nette zero al 2050. 

Analoghe considerazioni andrebbero fatte anche per l’idrogeno – peraltro necessario per produrre gli e-fuel, che dal 2026 verrà utilizzato da vetture elettriche a celle a combustibile ed endotermiche che correranno insieme a quelle a benzina nell’arcinota 24 Ore Le Mans. 

Potranno questi sviluppi tecnologici nei settori che rappresentano l’eccellenza del mondo automobilistico influenzare quello che sembra un percorso già scritto e irreversibile dell’Unione Europea? Certamente, non è un caso che le alternative all’elettrico con batterie del motorsport si vedranno giusto in tempo per la revisione delle regole europee, già prevista per il 2026. 

La volontà dell’Unione Europea di puntare sulle auto nuove, ed elettriche in particolare, per decarbonizzare il parco circolante dovrà, anzi si sta già scontrando, con la grandezza dei parchi circolanti sostituirli, anche estromettendo ex lege la vendita di auto non elettriche (cosa peraltro, ormai già non più possibile per vista la deroga per gli elettrocarburanti), pare comunque tutt’altro che scontato. 

Se poi ci si ricorda che il numero di automobili elettriche circolanti nel mondo viaggia spedito verso il miliardo e trecento milioni di unità e si fa caso alla circostanza che nel record di esportazione del 2022 di auto cinesi le benzina hanno battuto le elettriche, diventa logico dare maggiore importanza anche a tutte le soluzioni non fossili, dagli e-fuel a biocarburanti evoluti, purché climaticamente neutrali. 

Note

  1. . A. Lanza, Energia arcobaleno. Il futuro dell’idrogeno?, Bologna, Il Mulino, 2023, pp. 79-81.
  2. L’elettro-combustibile è una tipologia di combustibile realizzato mediante sintesi chimica di idrogeno prodotto da fonti rinnovabili e anidride carbonica ricavata dall’atmosfera o anche da sorgenti concentrate, mentre i biocarburanti, come il biodiesel, sono prodotti dalla trasformazione di olii vegetali o grassi animali; ma anche l’olio vegetale idrogenato, Hydrotreated Vegetable Oil (HVO).
  3. Commissione che resterà in carica fino all’ottobre 2024.
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