Ecologia ed economia, la risposta è politica

Se le radici della crisi ecologica di cui viviamo gli effetti vanno cercate nello sviluppo economico e tecnologico finalizzato allo sfruttamento di risorse non rinnovabili il ruolo della politica sarebbe quello di formulare una risposta a questa crisi.

Autore

Roberto Smaldore

Data

7 Agosto 2023

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4' di lettura

DATA

7 Agosto 2023

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Correva l’anno 1992 quando al ‘Summit della Terra’ di Rio de Janeiro, la prima conferenza mondiale sul tema dell’ambiente, per la prima volta si parlò di prendere misure per la lotta al cambiamento climatico, volte al superamento dei combustibili fossili, alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Di tempo ne è passato da allora, e l’osservazione degli effetti dei cambiamenti climatici ha portato la questione ambientale in primo piano. Con lentezza e non senza contraddizioni la politica ha cominciato a ragionare di transizione energetica, pianificando l’addio ai combustibili fossili e preparandosi alla transizione verso fonti di energia rinnovabili. Non senza frizioni e resistenze.

Commentando il Summit di Rio il filosofo Cornelius Castoriadis le aveva anticipate: «A fronte di una catastrofe ecologica mondiale (…) non abbiamo difficoltà a immaginare che dei regimi autoritari possano imporre delle restrizioni draconiane a una popolazione spaventata e apatica». 

Una trentina d’anni più tardi il movimento francese dei gilet jaunes ha bloccato la Francia per protestare contro l’aumento dei prezzi del carburante deciso dal governo Macron, come passo verso la transizione ecologica. Nelle motivazioni di quella protesta populista ritroviamo la preoccupazione di Castoriadis circa la possibilità di mettere in atto misure ‘autoritarie’ e ‘draconiane’ per combattere la catastrofe ecologica. Alla radice vi è sempre l’idea che i processi di transizione economica, tecnologica e sociale siano in ultima istanza scelte politiche. 

Per Castoriadis non si trattava di girare lo sguardo altrove. Anzi: «A questo punto diventa urgente inserire la dimensione ecologica in un progetto politico democratico radicale. Ma questo progetto, al fine di rimettere in discussione i valori e gli orientamenti della società attuale, è indissociabile dalla critica dell’immaginario dello ‘sviluppo’ entro il quale viviamo».

Pensatore radicale, vicino agli ambienti del marxismo libertario, Castoriadis ha un passato da economista con una carriera illustre nell’OCSE. Egli fu tra i primi a questionare il dogma della crescita economica come fine a sé stessa e a legare questa critica alle istanze del nascente movimento ecologista: «Ciò che il movimento ecologista ha messo in discussione (…) è il modello e la struttura dei nostri bisogni». 

In un rapporto OCSE da lui stesso redatto problematizzava le esternalità negative dello sviluppo economico, puntando il dito, tra le altre cose, sull’inquinamento, effetto secondario dell’industrializzazione. L’idea che i processi produttivi possano avere degli effetti negativi in termini di sostenibilità ambientale a oggi appare scontata, ma non lo era nel 1970, quando il rivalersi di questi fenomeni sulla popolazione cominciava a mettere in discussione il rapporto di sfruttamento che sussisteva tra umanità e ambiente. I costi sociali della crescita e la sostenibilità dei processi produttivi aprono in Castoriadis un interrogativo ben più ampio, che arriva a investire i fondamenti del pensiero economico: «chi decide come devono essere allocate le risorse […]? Chi stabilisce quali sono i cambiamenti strutturali e istituzionali necessari?»

A essere messa in discussione nel pensiero di Castoriadis è l’imparzialità e tecnicità del pensiero economico, tecnologico ed ecologico che egli mira a riportare all’interno dell’alveo della dimensione politica. In effetti, scrive, «L’ecologia è essenzialmente politica, non è ‘scientifica’. Possiamo, dobbiamo ovviamente mobilitare la ricerca scientifica per esplorare l’impatto di questa o quella azione produttiva sull’ambiente o, a volte, i mezzi per prevenire un tale effetto collaterale indesiderato. Ma la risposta, in definitiva, non può che essere politica».

Se le radici della crisi ecologica di cui viviamo gli effetti vanno cercate nello sviluppo economico e tecnologico finalizzato allo sfruttamento di risorse non rinnovabili il ruolo della politica sarebbe quello di formulare una risposta a questa crisi. Spesso e volentieri, però, l’azione della politica appare contraddittoria e aggrava la situazione.

È il caso dell’invasione russa dell’Ucraina e dei suoi effetti sull’approvvigionamento energetico dei paesi del Vecchio continente. La risposta al bando posto dalla comunità internazionale sul paese aggressore è stata una ‘chiusura dei rubinetti’ del gas, che ha scatenato in Europa una nuova crisi energetica. La situazione che si è configurata nell’ultimo inverno assomiglia a quella che aveva investito lo stesso continente nel 1973, quando i paesi dell’OPEC indussero la crisi energetica, fermando le esportazioni di petrolio. In entrambi i casi la radice delle crisi va cercata nella politica. 

In entrambi i casi l’energia si è rivelata una risorsa scarsa e l’interruzione della sua fornitura ha rivelato la debolezza delle catene del valore globali. In questa cornice la crisi energetica può tuttavia tramutarsi in pretesto per un cambio di passo nella duplice direzione di diversificare le fonti di approvvigionamento, per tutelare la sovranità energetica, e di superare i combustibili fossili per rispondere alla catastrofe ambientale. In entrambi i casi si tratta di formulare una risposta politica. 

È in quest’ottica che Castoriadis critica il capitalismo contemporaneo: la traiettoria della sua biografia intellettuale può essere letta come quella di un economista che, a poco a poco, si rende conto di dover uscire dal piano materiale perché insufficiente. La critica dell’immaginario prodotto dal capitalismo contemporaneo si sposa con la ‘transizione ecologica’ del suo pensiero. «L’ecologia è sovversiva perché mette in discussione l’immaginazione capitalista che domina il pianeta. Rifiuta la ragione centrale per cui il nostro destino è quello di aumentare costantemente la produzione e il consumo. Mostra l’impatto catastrofico della logica capitalista sull’ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani»: parole, queste, che risalgono al 1992. Il ridimensionamento dei bisogni degli individui che propone Castoriadis non è un ridimensionamento materiale: «Non si tratta di rigettare puramente e semplicemente la crescita economica, ma di impegnarsi in un riesame critico del contenuto di questa crescita, e più generalmente dell’oggetto stesso dell’attività economica umana». Non si tratta quindi di una ‘decrescita felice’, ma più propriamente della necessità di mettere in discussione lo stile di vita e i bisogni degli individui, da un punto di vista politico, culturale e quindi, per usare un lessico marxista, ‘sovrastrutturale’.

La lezione di Castoriadis mira a introdurre la variabile politica in una partita che viene spesso giocata (solo) da tecnici, economisti e scienziati. Si tratta di operare una scelta radicale, perché l’economia e la scienza da sole non bastano a scongiurare la catastrofe ecologica alla quale si sta andando incontro.

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