Economista e dirigente industriale, per Aurelio Peccei i problemi della crescita e dei suoi limiti sono fondamentali per l’esistenza dell’uomo e della società.
«Riesco ad avere un colloquio con Peccei, al quale ho diverse cose da chiedere che prima chiedevo a Arrigo Olivetti. È molto cordiale e ostenta un ostinato spirito giellista», così annota Giorgio Agosti – magistrato, poi manager, ma soprattutto fondatore delle formazioni piemontesi di ‘Giustizia e Libertà’ durante la Resistenza – nel suo diario il 21 ottobre 1964. All’epoca Aurelio Peccei è Amministratore delegato della Olivetti, ma lascia l’incarico tre anni dopo, nel 1967, perché in conflitto sulla gestione e la visione del futuro dell’azienda.
Durante la Resistenza, Peccei è stato anche membro del ristretto ‘consiglio di guerra’ che stabiliva la strategia del Partito d’Azione. Catturato e torturato, fa undici mesi di carcere («In quelle angosciose circostanze appresi dai più umili e dai più semplici quanto grande possa essere la dignità umana»). Dopo la Liberazione, è uno dei quattro amministratori provvisori della Fiat, azienda in cui ha iniziato a lavorare già prima di laurearsi, facendosi poi mandare in Cina, nel 1939, come direttore dell’industria aeronautica da poco costituita in quel Paese dalla stessa Fiat e da altre grandi aziende italiane.
Finita l’esperienza di amministratore provvisorio, resta sempre in Fiat a capo di diversi settori ma, grazie all’ottimo rapporto costruito col potentissimo Vittorio Valletta, chiede che gli sia affidato «il compito di riportare l’azienda in America Latina», dopo anni di assenza dovuta alla guerra. Stabilisce la sua base operativa in Argentina, dove dirige la Fiat Concord produttrice di auto e trattori, e qui resta come amministratore delegato fino al 1969. È un dirigente poco conformista – è lui stesso a dirlo – e, pur lavorando in Fiat, riesce sempre a ‘negoziare’ quegli spazi di libertà che gli permettono di fare numerose altre cose.
Una caratteristica della biografia di Peccei, che va sottolineata, sono i diversi incarichi che nel volgere di una trentina d’anni via via ricopre, a volte anche temporaneamente, ma sempre con un piede dentro la Fiat. Inquieto, è sempre presente in alcune operazioni decisive per l’economia e l’industria italiana. Lo troviamo tra i fondatori dell’Alitalia (1949) e dell’Italconsult (1958-1978), tra i promotori dell’Atlantic Development of Latin America (1965) e alla direzione, come già detto, della Olivetti (1964-1967).
Nella vita di Peccei gli anni dal 1963 al 1973 sono decisivi quanto quelli della guerra e della ricostruzione. In quella fase, ha l’impressione di «aver percorso», «psicologicamente», «quasi un cerchio completo, tornando ad alcuni ideali e speranze della [sua] gioventù». Speranze in un ‘socialismo liberale’ (dove liberale è un aggettivo) e in un ‘capitalismo democratico’. Sono gli anni della guerra del Vietnam e dei conflitti nel Medio Oriente, dei movimenti contro l’apartheid e i diritti civili in America, della lotta alla povertà nei Paesi in via di sviluppo. E ancora, gli anni dell’insorgenza giovanile in tutto l’Occidente e delle lotte operaie che diventano anche sociali in Europa.
Il mondo di Peccei è soprattutto quello dell’industria internazionale e la sua idea fissa è di ‘spingere’ i decisori politici – coinvolgendo il mondo delle imprese – a inventare «nuovi modi di sviluppo». È convinto che le istituzioni politiche del Paese siano ‘inadeguate’ a gestire i sistemi complessi del nostro tempo. Esse non sono «al passo con le esigenze di una società sempre più integrata e sempre più globale». Anche per questo è attivo a Parigi come presidente dell’Atlantic Institute for International Affairs (1967-1974) con l’obiettivo di «creare un gruppo scelto di studio in grado di fornire ai governi idee e assistenza nell’affrontare i problemi della società moderna». Di affrontare cioè quella che lui chiama la ‘problematica’. Con tale espressione Peccei intende la «totalità dei problemi contemporanei» – dalla crescita demografica alla giustizia sociale, dalla crisi energetica all’inflazione, dall’analfabetismo alla criminalità, dalla questione della crescita alla degradazione dell’ambiente, al declino dei valori morali ecc. – che vanno affrontati in maniera integrata, non considerando solo i singoli aspetti. A metà degli anni Sessanta il concetto di interdipendenza ha spinto verso un modo nuovo di affrontare problemi complessi. Edward Lorentz ha già formulato l’effetto butterfly, anche se non c’è ancora stato Jurassic Park a renderlo popolare.
Nei primi mesi del 1967 Peccei entra in contatto con Alexander King, all’epoca direttore generale degli affari scientifici dell’OCSE. Caratteri diversi, insieme fanno una ‘forza’. Si intendono bene. Condividono molte cose, soprattutto l’approccio globale ai problemi. Nell’aprile del 1968 fondano il Club di Roma.
Entrare in contatto con King significa anche accedere alla sua ampia rete di relazioni e di competenze. Peccei è alla ricerca di uno strumento d’analisi che permetta la visione globale e integrata dei problemi. Ed è tramite King che conosce gli esperti della dinamica dei sistemi, tra cui Jay W. Forrester. Lo scienziato americano gli permette, per così dire, di mettere ‘il Mondo’ in un modello matematico. Forrester è veloce e nel giro di un mese progetta e realizza un modello di simulazione che risponde alle attese del Club di Roma. Una volta ricevuto il via libera affida il progetto al suo giovane assistente Dennis L. Meadows che prontamente organizza un gruppo di lavoro (composto da studiosi con un’età media di trent’anni).
Peccei detta i tempi: vuole velocità e precisa che non si tratta di un’operazione accademica, ma dell’azione di «un ‘commando’ che deve aprire una breccia nella cittadella di autocompiacimento in cui la società si [è] follemente trincerata».
Il 12 marzo 1972 il pamphlet The limits to growth è pronto per essere presentato in pompa magna allo Smithsonian institution di Washington, ma alcuni giorni prima numerosi decisori politici ed economici di tutto il mondo l’hanno già ricevuto nella la loro posta. Il discorso sui limiti è appena iniziato.
Nel pamphlet non c’è alcuna ambizione di prevedere il futuro né di prescrivere azioni concrete. Esplicite sono alcune convinzioni: che la crescita infinita non può durare in eterno e che la Terra è un corpo di natura finita; che il consumo di risorse naturali non può essere considerato ‘fuori bilancio’, dando per scontata la loro abbondanza; che non può essere l’economia a stabilire i fini dell’attività umana; che è legittimo porsi la domanda ‘perché crescere?’ (è la stessa domanda che si pongono all’OCSE nel rapporto The Growht of Output 1960-1980 del 1970).
A The limits to growth seguono altre ricerche, altri libri. Gli incontri di Peccei con decisori governativi e di istituzioni internazionali proseguono senza sosta, ma per questi interlocutori l’urgenza dell’azione di Peccei non è così urgente.
«Era come se i problemi globali che andavamo ventilando riguardassero un altro pianeta».
Muore a Roma il 13 marzo 1984 all’età di 76 anni. Un aspetto ancora attuale della sua eredità è la convinzione che se prima era la coscienza di classe a motivare le lotte sociali e politiche, oggi va fatto ricorso a una «coscienza di specie per rinnovare e riequilibrare la società».
Tutte le citazioni tra virgolette sono tratta da: A. Peccei, La Qualità Umana, Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, Milano 1976.
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