Il nuovo capitalismo monopolista di stato

La finanza si trova di fronte a nuove tecnologie che cent’anni fa nessuno aveva previsto. Quale sarà l’esito di questo incontro?

Autore

Giulio Sapelli

Data

27 Marzo 2023

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5' di lettura

DATA

27 Marzo 2023

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A conclusione di un precedente articolo ho sottolineato come l’Europa, sotto l’ordo-liberalismo teutonico, risponde alla caduta del saggio di profitto con il blocco dei salari e la deflazione, generando in questo modo nuove crisi da sottoconsumo come quella in corso attorno a noi oggi.

Che ruolo ha avuto la finanza in questa fase di grande sofferenza sociale? Essa non è più una variante della classica produzione di plusvalore derivante dall’acquisizione del pluslavoro grazie al lavoro comandato, così come lo descriveva Ricardo. È qualcosa di più: lo strumento che maschera la caduta tendenziale del saggio di profitto generato dalla crescente disoccupazione, quindi dal crollo del lavoro vivo e altresì dalla crescente crisi di sovrapproduzione che genera la non solvibilità della domanda.

La finanza serve a prendere tempo: il processo che ho evocato nel precedente articolo (qui), ha trasformato tutte le imprese in grado di generare masse rilevanti di cash flow in imprese di nuovo tipo che creano cioè, accanto al valore generato dalla produzione, un valore generato dalla finanziarizzazione grazie all’estensione della circolazione del denaro contro denaro e soprattutto attraverso la gestione dell’indebitamento che si spinge sino al punto di vendere debito per il debito, con altissimi tassi di rischio.

Naturalmente questo processo ha investito, nei sistemi banco-centrici europei, anche le banche e nei sistemi non banco-centrici, come quelli anglosassoni, tutte le istituzioni non dirette all’erogazione dei crediti ma alla creazione di valore di denaro dal denaro, come fondi d’investimento et similia. Di tutto questo ci accorgemmo solo nel 2007, con la crisi da eccesso di rischio che generò il crollo di Lehman Brothers. Lo Stato, tutti gli Stati mondiali, avevano accompagnato questo processo, lo avevano sostenuto con le deregolamentazioni alla Clinton e alla Blair e avevano diffuso la certezza, così come era stato nella grande crisi delle casse di risparmio nordamericane alla fine degli anni Ottanta del Novecento, che lo Stato sarebbe intervenuto per salvare il salvabile.

A quel tempo, nel 2007, ciò non avvenne. In verità si trattò di un non salvataggio dettato più dal timore e dall’inesperienza tecnica perché, come sappiamo, dopo quel momento, lo Stato, o con le nazionalizzazioni delle banche o con i finanziamenti delle industrie con prestiti ad alto rischio (vedi Obama e l’industria automobilistica americana) intervenne (vedasi il ruolo crescente delle banche centrali con politiche neokeynesiane per arginare la disgregazione sociale).

Lo Stato è sempre intervenuto, cosicché si potrebbe veramente parlare a livello mondiale dell’ascesa di una nuova forma di capitalismo monopolistico di Stato che cerca, con i suoi interventi, di far fronte sia alla crisi industriale e alla disoccupazione che ne deriva, sia all’eccesso di rischio. Ciò che si contrappone all’ascesa di questo nuovo capitalismo monopolistico di Stato, a dominazione finanziaria, è l’ordoliberalismo teutonico-nordico che ha dietro di sé una lunga tradizione intellettuale e che con l’unificazione della nazione tedesca, negli anni Novanta, ha profondamente cambiato l’equilibrio di potenza in Europa.

L’ordoliberalismo ha tutte le caratteristiche sopra descritte del capitalismo finanziarizzato, ma se ne differenzia perché al sistema di libera concorrenza ha sostituito infatti il sistema di potenza: impone bassi salari, abbassa la spesa pubblica, distrugge il welfare a tutti gli altri Stati europei che non possono seguire il suo modello export-lead con la stessa intensità, mentre garantisce pluralità delle forme di allocazione dei diritti di proprietà e il ruolo dello Stato al suo interno, Stato che sostituisce il principio di sussidiarietà quando esso fallisce, ruolo che invece vieta a tutti gli altri Stati europei. Fa questo attraverso il controllo delle istituzioni europee prive di legittimazione popolare, con una fermezza e una continuità impressionante, come ci dimostra la deflazione europea in corso.

Ciò nonostante il meccanismo di consustanzializzazione della finanza nella produzione si è pienamente inverato anche in Europa, e quindi gli effetti sul lavoro sono assai simili a quelli prima descritti a livello mondiale, ossia: disoccupazione di massa per restringimento della base produttiva, abbassamento dei redditi per diminuzione della massa salariale, crisi crescente delle piccole unità produttive che non possono generare la finanziarizzazione prima descritta, la quale serve a prendere tempo rispetto alla caduta del tasso di profitto grazie al valore creato dalla circolazione del denaro che produce denaro e/o dalla vendita del debito su debito grazie alla leva ad altissimo rischio. C’è di più, tuttavia.

La finanza s’incontra con nuove tecnologie che cent’anni fa non avevamo previsto. Mi spiego. Schumpeter parlava di distruzione creatrice. Nuove tecnologie, nuove imprese avrebbero distrutto le tecnologie e le imprese incapaci di adattarsi ai nuovi cambiamenti, e dalla crisi si sarebbe creato nuovo plusvalore generato dalla espropriazione del pluslavoro attraverso la riproduzione allargata del meccanismo del capitalismo. Si distruggeva ma si creava. E non solo variando i tassi d’interesse, come aveva in mente Johon Maynard Keynes, ma facendo circolare merce contro merce come aveva in mente Piero Sraffa, nel suo Produzione di merci per mezzi di merci, che rimane il più bel libro di economia del Novecento. Ora le cose sembrano cambiare.

Perché il nuovo ciclo Kondratieff che si avvicina ha talune caratteristiche prima sconosciute. Pone all’ordine del giorno la creazione diffusa di sistemi naturalmente complessi e stratificati quanto a tecnologie di intelligenze artificiali che producono a loro volta intelligenze. È come se si elevasse l’ICT all’ennesima potenza. Le stampanti 3D, con la meccanica per diffusione e non per estrusione che ne deriva grazie all’uso del laser, sono solo l’inizio. Il seguito saranno i robot isomorfi, omeostatici tanto con il corpo umano quanto con il mutare delle macchine e dell’ambiente in cui sono immersi. Di qui qualcosa di straordinariamente nuovo, ossia la caduta verticale generalizzata, non puntiforme come un tempo, non solo dei lavoratori altamente qualificati ma dei white collars, ossia degli ingegneri, dei fisici, dei matematici.

Prima gli scanner sostituivano i tipografi, i computer le dattilografe e le segretarie e i disegnatori e i progettisti, ma appunto in forma puntiforme. Qui si agirà invece su larga scala e si farà tabula rasa di brillanti milioni di milioni di laureati e di brillanti PhD. Se pensiamo poi che l’altro grande ciclo Kondratieff che si avvicina riguarda la manipolazione del plasma e del DNA siamo ancora più convinti che la mutazione sarà straordinaria. E qui non si tratta soltanto di cadute etiche, ossia che per il neopaganesimo dilagante si possa pensare di sostituirsi a Dio nella creazione e nello stesso amore tra i sessi nella procreazione. Si tratta di qualcosa di più.

Naturalmente ci sono altri processi in corso. Il primo è quello demografico, determinato dall’aumento generalizzato su scala mondiale, della lunghezza del ciclo di vita e quindi della necessità di professioni che colmino il bisogno crescente di cura della persona. Come già sapevano molto bene le sante suore, non c’è robot che possa lavare le parti intime dei vecchi, che possa raccogliere le bave di saliva dei malati di Alzheimer con un atto di amore e non con una freddezza meccanica che rende ancora più triste la morte. Quindi le occupazioni che cresceranno saranno quelle dedicate alla cura della persona, intesa nel senso più ampio possibile, per diminuire il flusso generale di angoscia di chi vive fino a cent’anni.

Ma non basta creare solo infermieri, bisogna formare lettori, giocolieri, psicologi e psichiatri, architetti e diffusori dei valori cooperativi che inducano i vecchi a non morire da soli, in un’ottica di individualismo borghese, ma di farlo con dolcezza prendendo più tempo, condividendo amicizia e amore, non solo dolore, come ci insegna quel bellissimo film di Dustin Hoffman, Quartet, che tutti dovrebbero vedere. E la finanza?

Qui la finanza naturalmente entra in gioco e può svolgere un ruolo importantissimo, perché tutte codeste attività, che sono a bassa produzione di plusvalore e quindi di lunghissimo termine nella creazione del profitto, mentre invece richiedono subitanei investimenti, qui, ripeto, la finanza ha un grandissimo valore, purché cambi integralmente il suo volto. Al posto della turbo-finanza dei manager stockoptionisti, che già si sono impegnati a costruire ospedali e case di riposo, per spremere plusvalore dalla malattia e dalla morte, la buona finanza può svolgere un ruolo altamente benefico, purché essa muti il suo volto. Basta leggere quell’Enciclica straordinaria di Benedetto XVI, la Caritas in Veritate, dove si parla di buona finanza, per comprendere ciò che voglio dire. Del resto il filantropismo giudaico-cristiano ci indica la via.

La stragrande maggioranza degli ospedali israelitici nel mondo ha già scoperto questa grande verità, così come del resto avevano già fatto e fanno le banche cooperative, dandoci una grande lezione di speranza nel mezzo di questa crisi devastante e disastrosa, generata dai manager stockoptionisti e dagli ordoliberalisti.

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