«La tragedia della vecchiaia è che sei ancora molto giovane.» Oscar Wilde
E se invece di parlare di vecchiaia come unica entità cominciassimo a ragionare di più vecchiaie?
È questo lo scopo ultimo del libro di Pascal Bruckner, tra i maggiori intellettuali francesi contemporanei, che ha dato alle stampe un fortunato saggio tradotto all’italiano come Una breve eternità. Filosofia della longevità (Guanda, 2020, €20,00).

Siamo in un’epoca storica particolarissima, dove appare per la prima volta un lungo autunno della vita, che sposta in avanti scelte personali e collettive, propone nuove risposte alla decadenza fisica, apre spiragli inediti all’impiego del tempo.
Dal 1945 la speranza di vita nel mondo occidentale è aumentata di 30 anni (l’equivalente a una intera vita nel XVII secolo). Una bambina su due nata oggi ha l’opportunità di diventare centenaria.
L’età quindi non è più un fattore costitutivo, ma una variabile tra le tante della vita. Cosa comporta, in concreto, il prolungamento dei nostri giorni?
In primo luogo, la longevità inevitabilmente ingarbuglia le generazioni: paternità tardive possono far comparire zii più giovani dei loro nipoti. Gli ultrasessantacinquenni non si sentono vecchi, non vogliono stare in panchina e, di conseguenza, adottano stili di vita giovanilisti.
Poi, gli enti previdenziali saranno presto al collasso, tanto che è nell’agenda di molti governi il tema del posticipo dell’età pensionabile. Si vive di più, si lavora di più.
Nasce un nuovo erotismo: sorgono i tempi dell’amore tardivo. In Giappone è nato il genere del porno hardcore per anziani, con attori che raggiungono gli 85 anni, come Shigeo Tokuda, che ha iniziato questa carriera a 60 anni.
E, non da ultimo, l’allungamento della vita può generare forti disuguaglianze. La differenza nell’aspettativa di vita in Francia tra il 5% della popolazione più ricco e il 5% più povero è di 13 anni. Ciò significa che, se le cure non saranno accessibili a tutti – cosa che sicuramente accadrà – avremo davanti due possibili scenari: uno caratterizzato dal precariato con persone inclini alla malattia e alla morte e un secondo, con una popolazione ben curata, di promettente longevità.
Bruckner risente di un’impostazione tutta francese che tende, dopo le pagine iniziali del testo, a disperdere le argomentazioni in mille rivoli, in particolare si concentra sul dato filosofico della vecchiaia, marginalizzando i fattori socioeconomici che potrebbero rovinare la celebrazione di una vita lunga. Infatti «ciò che la scienza e la tecnica hanno prolungato non è la vita, ma la vecchiaia».
L’autore però sostiene che la longevità ha degli indiscutibili vantaggi: sappiamo meglio cosa vale la pena conservare, cosa ci si può aspettare, cosa non è ragionevole desiderare. L’ordine e la disciplina liberano l’uomo dalla caducità. Per proseguire nella vita bisogna andare contemporaneamente sia avanti sia indietro: recuperare il bambino che è in noi e nel contempo avere nuovi progetti.
C’è dunque un solo modo per ritardare l’invecchiamento: restare nella dinamica del desiderio. Aspirare dunque a una vecchiaia prodigiosa, senza decadenza, come insegnano alcuni grandi nomi nel mondo dell’arte e della letteratura: Goya, Beethoven, Picasso, Casals.
Non esiste oggi un modello di vita buona dopo i sessant’anni. Sta a noi crearne uno.