François Rabelais, umanista cinquecentesco, nacque nel 1483 nell’attuale regione della Centre-Val de Loire, in Francia.
Uomo molto colto e curioso, prese i voti nel 1520, e durante la sua permanenza nell’ordine dei Francescani studiò il greco, il latino, l’ebraico; e ancora filosofia, teologia, giurisprudenza, filologia ma anche fisiologia, fisica e storia naturale. Sospettato però di eresia a causa dei libri in lingua greca, su ordine della Sorbona, ne subì la confisca.
Febbrile e avido di sapere, intorno al 1526 decise quindi di dare una svolta alla sua vita, passando all’ordine dei Frati Benedettini. Il giovane iniziò così a viaggiare e visitare varie città tra cui Bordeaux, Toulouse e Parigi.
Tuttavia, le regole monastiche erano per lui opprimenti e dopo aver deciso di farsi prete secolare, nel 1530 si iscrisse alla facoltà di medicina di Montpellier. Iniziò così, nel 1532, a esercitare come medico a Lione, centro culturale della Francia di quegli anni. Qui ebbe l’opportunità di conoscere innumerevoli letterati e fu proprio questo che lo portò alla scrittura, sotto lo pseudonimo di Alcofribas Nassier – anagramma del suo nome di battesimo, e suo celebre pseudonimo.
Quindi, nel 1534, pubblicò il primo dei 5 libri dell’epopea eroicomica che l’ha reso famoso: ‘Gargantua e Pantagruel’. Opera definita da molti ‘a cento teste’, dove l’autore cerca di contenere e armonizzare il caos del mondo. Un libro sovversivo da cui emerge da un lato, una critica verso il potere e l’istruzione libresca, mnemonica e verbalistica; dall’altro una visione calda, simpatica, tumultuosa dell’umanità. Contraddistinguendosi, sul piano linguistico, per una grande ricchezza creativa e polifonia lessicale.
Il capolavoro segue le vicende di due giganti, Gargantua e Pantagruel, padre e figlio. I due assecondano tutte le loro inclinazioni naturali e fisiche e godono dei piaceri della vita. «Ingordi di cibo e vino, ma anche di conoscenza e sapere, incarnano la forza della natura e la fiducia nelle facoltà illimitate dell’uomo».
Attraverso uno stile enfatico, parossistico e onusto di neologismi, Rabelais riflette sulla smisuratezza dei suoi protagonisti, tra amicizie, avventure, prodezze e gesta mirabolanti. L’autore riesce quindi a cogliere l’essenza umana, attraverso la satira e l’intelletto; dando voce al modo di ridere delle persone, ricorda a tutte e tutti che ognuno di noi ha un corpo, con esigenze e funzioni vitali, che spesso contiene più intelligenza delle nostre fumose elucubrazioni mentali.