1922, Long Island. Un uomo con un bianco cappello a tesa larga cammina sul prato del suo giardino che parte dalla spiaggia e corre per un quarto di miglio verso l’ingresso principale di un vivace palazzo rosso e bianco in perfetto stile coloniale, attraversando viottoli in mattoni e piante variopinte. Uomini e donne vanno e vengono, come falene, tra i pettegolezzi, lo champagne e le stelle. La musica riempie l’aria in una danza vorticosa. Sono i ruggenti anni Venti de Il Grande Gatsby, in cui l’economia sta crescendo a ritmi sostenuti, con una media del 4% annuo. L’industria automobilistica, con la Ford T, la vendita degli elettrodomestici e lo sviluppo della rete elettrica stanno trainando il mercato e la società in una festa che sembrava non aver fine. La teoria economica non ha dubbi che l’offerta creerà la domanda e il libero mercato sarà in grado di colmare i temporanei squilibri verso un nuovo equilibrio di crescita.
Venerdì 25 ottobre 1929, New York. Un uomo con cappelli impomatati, papillon, completo a righe, apre le porte della Borsa di Wall Street ed entra a passo deciso. Mentre tutti i trader, stupiti, lo osservano, Richard Whitney fa un’offerta per l’acquisto di 25.000 azioni della US Steel a 205 dollari ciascuna, un prezzo ben al di sopra del valore corrente. Il titolo, infatti, come molti altri, sta scendendo rapidamente dal giorno precedente.
Quello di Richard Whitney, soprannominato poi il ‘Cavaliere bianco di Wall Street’ fu l’estremo tentativo per rilanciare gli indici di Borsa, oramai in caduta libera. Whitney rappresentava grandi investitori e banche come la Morgan Bank, la Chase National Bank, la National City Bank di New York e altri nomi illustri. Ma oramai era troppo tardi. Martedì 29 ottobre del 1929 Wall Street crollò definitivamente, confermando un lungo periodo di crisi economica che prese il nome di Grande Depressione. Gli economisti si accorsero che il paradigma teorico secondo il quale l’offerta è in grado di trainare la domanda si era inceppato. Il sistema economico globale si avvitò in una spirale di disoccupazione, fallimenti e povertà. Allo sfavillante Grande Gatsby si contrappose il fantasma di Tom Joad del formidabile romanzo Furore di John Steinbeck.
La crisi del 1929 permise lo sviluppo di nuove teorie economiche. La principale fu quella di John Maynard Keynes, che sosteneva la necessità di un intervento pubblico nell’economia, in presenza di una insufficiente domanda aggregata e di un ciclo economico negativo. L’attuazione di questo pensiero fu, almeno parzialmente, il New Deal di Roosevelt. La teoria keynesiana è stata rivoluzionaria e ha animato il dibattito relativo alla politica economica per i decenni che sono seguiti, fino ai giorni nostri. L’elemento rilevante è la relazione fra domanda ed offerta aggregata.
«Negli ultimi due decenni, con l’avvento della globalizzazione, è avuto un massiccio aumento della capacità produttiva, poiché le economie emergenti in rapida crescita, in particolare la Cina, sono state integrate nell’economia globale. Di conseguenza, l’offerta ha continuato a crescere senza porre vincoli alla crescita». Il professor Michael Spence, premio Nobel per l’Economia 2001, appoggia in terra il suo zaino e si siede. È pronto per l’intervista presso la Fondazione Eni Enrico Mattei. Discuteremo in merito al suo ultimo libro, dal titolo Permacrisis: a plan to fix a fractured world, scritto con l’ex primo ministro britannico Gordon Brown e Mohamed Aly El-Erian, ex presidente del Global Development Council del presidente Obama.
Spence si sistema il microfono: «In effetti, la crescita è rimasta sostanzialmente robusta anche quando la produttività è diminuita, anche se ci sono state, ovviamente, alcune battute d’arresto, come durante la crisi finanziaria globale del 2008. Ora questo scenario è cambiato. Nell’economia globale i limiti sono sul lato dell’offerta, della produzione, non della domanda. Tutto ciò ha innescato meccanismi inflativi di tipo strutturale che tenderanno a permanere. Infatti la carenza di manodopera colpisce tutti i principali settori occupazionali e le reti di approvvigionamento globali si stanno trasformando, poiché i paesi rispondono a una lunga serie di shock – da cui il titolo del libro – spostando la loro attenzione dall’efficienza alla resilienza e alla sicurezza. E la produttività continua a ristagnare. Con l’aumento dell’inflazione, le banche centrali hanno dovuto alzare i tassi di interesse, appesantendo i debiti pubblici, già gravati dall’aumento dei deficit per gestire le crisi economiche. Il debito sovrano globale supera ora il 100% del Pil globale, ma gli investimenti in importanti cambiamenti dal lato dell’offerta sono comunque vitali per garantire sia la crescita della produttività (attraverso il cambiamento strutturale e tecnologico) che la sostenibilità (accelerando la transizione verso l’energia pulita). In breve, nel mondo di oggi, la gestione macroeconomica e la politica fiscale e monetaria devono concentrarsi molto di più sulle condizioni di offerta. Ci sono inoltre innovazioni scientifiche e tecnologiche che, se adeguatamente utilizzate e ampiamente diffuse, possono produrre un aumento della produttività. Oltre a ciò, dovremmo evitare una forma relativamente completa di deglobalizzazione, per non parlare della frammentazione totale – risultati che ostacolerebbero le economie in via di sviluppo e la crescita globale e renderebbero impossibile la transizione verso un modello economico sostenibile».
Le parole del professore volteggiano nella stanza, illustrando alcuni ulteriori spunti del libro. L’elemento che tuttavia emerge dalle prime riflessioni è che i processi di transizione (anche quello energetico) non possono prescindere dal contesto globale e dalle politiche economiche che guidano la domanda e la offerta. Se il quadro descritto da Spence è in grado di caratterizzare il mondo attuale e si sta prefigurando come un probabile scenario futuro, caratterizzato da un limite alla offerta, una inflazione positiva in un mondo frammentato, allora gli strumenti di policy per la transizione devono tenerne conto. Bisogna quindi perseguire un adattamento nei processi di mitigazione, adeguando lo strumento al nuovo contesto, alla luce delle informazioni che stiamo apprendendo. Oggi come in passato, come accadde al termine dei ruggenti anni Venti.