Mai forse nella storia una questione nuova che al suo primo apparire sembrò una
trascurabile preoccupazione di pochi acchiappanuvole, in un arco così breve di tempo ha
raggiunto il summit dell’attenzione internazionale.
Alfredo Todisco sulla Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano (6 al 15 giugno 1972, era da poco uscito il rapporto del club di Roma), Corsera, 6 giugno 1972
Ai più giovani – anche tra gli studenti che scendono in piazza per chiedere al governo di mettere in atto più incisive politiche di contrasto del cambiamento climatico – il nome di Alfredo Todisco forse non dice granché. Eppure, questo giornalista e scrittore del secolo scorso ha avuto un ruolo davvero significativo nel far conoscere, con articoli e inchieste, i temi dell’ecologia nell’Italia dei primi anni Settanta.
Nato a Melfi (Potenza) nel 1920, Todisco si forma a Trieste, dove incontra Umberto Saba e inizia a coltivare la sua passione per la psicanalisi, fil rouge della sua produzione romanzesca (Storia naturale di una passione, finalista al Premio Campiello 1976, Rimedi per il mal d’amore, Odio d’amore, L’alba delle passioni, per citare qualche titolo).
I suoi primi passi nel giornalismo risalgono al 1949, quando si trasferisce a Roma per iniziare la sua collaborazione con «Il Mondo», settimanale di politica e cultura di ispirazione laica e diretto da Mario Pannunzio, per poi entrare a Milano nella redazione de «L’Europeo» di Arrigo Benedetti. Successivamente diventa corrispondente e inviato speciale de «La Stampa» (è redattore del quotidiano torinese nel 1955 quando vince il Premio Saint-Vincent per il giornalismo) e del «Corriere della Sera». Sull’onda lunga della contestazione del ‘68, del successo nazional-popolare de Il ragazzo della Via Gluck e della nascita del WWF Italia, Todisco, insieme al collega Antonio Cederna, è tra i giornalisti che portano all’attenzione dell’opinione pubblica il dibattito sui temi ambientali, nato negli Stati Uniti da libri come Primavera silenziosa di Rachel Carson e La morte ecologica di Edward Goldsmith e Robert Allen. Sono anni – quelli della cosiddetta «primavera dell’ecologia» – in cui cominciano a essere sempre più evidenti sul paesaggio italiano le conseguenze dell’industrializzazione e dell’esplosione dell’edilizia legate al boom economico: la riduzione degli spazi verdi urbani, il danneggiamento degli ecosistemi, la perdita della biodiversità, il depauperamento dei territori. Problemi di cui anche il governo iniziano timidamente a occuparsi: nel 1970 il presidente del Senato Amintore Fanfani istituisce e presiede una commissione ‘speciale’ mista, composta da senatori ed esperti. I giornali intanto provano a parlare di ecologia con un linguaggio più accessibile di quanto facciano gli accademici o la politica. Dalle colonne del «Corriere» Todisco cerca di mettere in relazione attività antropiche (produttive e di consumo) e natura, denunciando casi di abuso e riportando gli esiti delle indagini della magistratura in merito a quelli che oggi chiamiamo reati ambientali. La speculazione edilizia è al centro dell’articolo No alle mani sulla città (20 ottobre 1973) – in cui si cita il capolavoro di Francesco Rosi per criticare il nuovo piano regolatore del Comune di Santa Margherita, piccolo gioiello della Liguria –, mentre lo stato di inquinamento degli arenili e delle acque in Italia (con il ‘mare nostro’ che rischia di diventare il ‘mare mostro’) viene denunciato in un pezzo intitolato Ultima spiaggia (7 aprile 1973). Todisco interviene anche in una polemica a tema ‘ecologico’ che polarizza il dibattito di quegli anni: nel 1972 la Puglia emana la sua prima legge regionale, che autorizza le cacce primaverili fino al 15 maggio di ogni anno. Il giornalista pubblica alcuni pezzi, tra cui Una strage scandalosa (6 aprile), in cui critica questa pratica, che «consiste nel massacrare con estrema facilità gli uccelli migratori che, provenendo dall’Africa, approdano stremati alle rive meridionali, dopo aver trasvolato epicamente, con un solo balzo, il Mediterraneo» e che viene considerata particolarmente crudele e nociva per il patrimonio faunistico locale. Inoltre Todisco organizza, insieme a Italia Nostra, una raccolta di firme che ha un grande successo. L’iniziativa, unita alla protesta di gruppi ecologici locali, convince il governo e l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, a respingere la legge regionale.
Il cronista è poi tra i primi a divulgare le teorie del Club di Roma di Aurelio Peccei, sistematizzate nel 1972 nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, in cui si problematizza il concetto di crescita economica illimitata, ponendo l’accento sulla disponibilità limitata delle risorse naturali (su tutte il petrolio) e sulla non infinita capacità del Terra di assorbire gli inquinanti. Il libro – un best seller con circa 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo – rappresenta un momento fondamentale di riflessione sul futuro dell’uomo e del Pianeta e inserisce anche la produzione di cibo e la demografia tra i fattori fondamentali da controllare per evitare quella che il giornalista definisce nell’articolo L’utopia del progresso illimitato (20 febbraio 1972) una «ecocatastrofe». Tra gli esponenti del Club di Roma, incontra a Parigi anche il futurologo francese Bertrand de Jouvenel: nell’intervista, intitolata Quando pagheremo l’aria (1 luglio 1970), si parla di un grande ‘buco’, nascosto dall’economia. Questa scienza «fin dal suo sorgere ha adottato come strumento di misura la moneta, prende in considerazione tutto ciò che ha un prezzo, tutto quanto si paga, e lascia in ombra una folla di dati connessi strettamente al benessere sociale (e spesso cause importantissime di esso) solo perché non riducibili al suo metro. Il risultato di questo modo di fare i conti (che è un modo di fare i conti senza l’oste, cioè senza calcolare ‘ciò che non ha prezzo di mercato’ come il ‘capitale naturale’ è una rappresentazione gravemente falsata della realtà […]. Nel repertorio delle voci grazie alle quali l’economia tradizionale svolge le sue operazioni contabili non figura quella del capitale naturale, che pure costituisce il magazzino cui il processo produttivo attinge a piene mani […]». Un indicatore come quello del Pil avrebbe dunque il demerito di non considerare elementi come l’acqua o l’aria, risorse limitate che solo a uno sguardo miope possono apparire senza un prezzo: «Se la degradazione dell’ambiente entrasse come passivo nel computo del reddito globale, noi vedremmo che i sensazionali tassi di incremento coi quali si vuole rappresentare l’aumento del tenore di vita delle società industriali avanzate sarebbero in realtà assai inferiori».
Alcuni degli scritti più importanti di argomento ambientale di Todisco – grazie ai quali nel 1970 il Cnr gli conferisce la medaglia d’oro per aver «contribuito con la propria attività, a fare opera di propaganda a favore della protezione della natura» – sono raccolti nei volumi Animali addio del 1973 e Breviario di Ecologia del 1974. Il giornalista muore a Milano a quasi novant’anni nel 2010.