2017 – Tre i principali punti vulnerabili della città: siccità e mancanza d’acqua, ondate di calore e dissesto idrogeologico. Molti i progetti messi in cantiere e le azioni avviate per affrontare queste criticità.
Molte sono le città europee che hanno avviato piani di adattamento, spesso molto innovativi, agli impatti del cambiamento climatico e, nel fissare gli obiettivi e in dirizzare le azioni, i decisori urbani sono apparsi molto attenti all’evoluzione della curva del clima e ai suoi effetti meteorologici. L’assenza di queste misure di adattamento così come il ritardo nello svilupparle e attuarle rischiano di essere fatali per i soggetti più fragili.
In Italia due sono finora le città i cui piani di adattamento al cambiamento climatico sono operativi perché approvati dai rispettivi consigli comunali (Ancona e Bologna). Altri ne seguiranno e si tratterà di piani anche questi costruiti «dal basso», perché sono le città – in quanto «isole di calore» – a essere direttamente esposte agli effetti dell’innalzamento delle temperature medie, dell’anomalo andamento delle precipitazioni e della scarsità delle risorse idriche. E i cittadini esigono risposte: vogliono una maggiore informazione sull’entità del problema, sulle azioni messe in atto e sui comportamenti da tenere in caso di rischi.
La progettazione urbanistica rientra a pieno titolo nelle politiche di adattamento, come il lettore vedrà nell’intervista che segue. Risulta pertanto importante una sinergia istituzionale (tra regione e comuni) nel tradurre gli obiettivi di contenimento del consumo di suolo, di creazione di infrastrutture verdi e di uso responsabile di risorse scarse in strumenti di previsione e di regolazione delle trasformazioni territoriali.
Data la rilevanza, per ampiezza e complessità, del Piano di adattamento climatico del Comune di Bologna, abbiamo intervistato il dr. Roberto Diolaiti, direttore del settore Ambiente ed Energia e l’ingegnere Giovanni Fini, coordinatore del progetto dell’Unità Qualità Ambientale della stessa direzione, che hanno impostato e seguito tutto l’iter del lavoro.
Perché un piano di adattamento climatico?
Roberto Diolaiti: Alcuni anni fa, nel 2012, Bologna si è trovata a fare i conti con un metro di neve: non accadeva da cent’anni. E la temperatura è arrivata a 15o sotto lo zero. Lo stesso anno la città ha vissuto una delle stagioni più torride degli ultimi vent’anni, con temperature tra i 35 e i 40 gradi e un’escursione termica, tra inverno ed estate, di 50 gradi. Un dato ulteriore fornitoci dall’ARPAE (Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna) ci ha dato molto da pensare: quell’anno ci sono stati settanta giorni consecutivi senza pioggia, una situazione meteorologica estrema.
È stato quindi un anno chiave…
R.D.: Dal 2012 in poi non abbiamo più avuto l’andamento abituale delle stagioni. Prenda per esempio quest’anno: abbiamo avuto un inverno estremamente mite e un’estate in cui non ha piovuto mai.
Stiamo dunque affrontando un’emergenza idrica conclamata. Le precipitazioni che si verificano a Bologna sono attualmente più monsoniche che mediterranee o continentali. I rovesci di pioggia si concentrano in pochissime ore, con un’enorme quantità d’acqua e forti venti. Quest’acqua, per tipologia di precipitazione, contribuisce a innescare fenomeni gravitazionali in collina. Sono numerose le nuove frane registrate negli ultimi anni nel territorio comunale collinare. Tutti questi elementi ci hanno portato a riflettere sul fatto che Bologna avesse bisogno di un piano di adattamento al cambiamento climatico. Tenga anche conto che il nostro Comune ha una tradizione di buone pratiche ambientali e una propensione ad aderire a progetti europei per accedere a finanziamenti. Il progetto che ha portato alla redazione del piano di adattamento cittadino Blue Up1 è stato possibile grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea.
Il Comune di Bologna ha partecipato anche al PAES, il Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile2?
Giovanni Fini: Il PAES ha origine con l’adesione di Bologna al Patto dei Sindaci e quindi entro un percorso già prefigurato dalla Commissione Europea, mentre il Piano di adattamento (Blue Up) è la risposta a un’esigenza che abbiamo rilevato a livello locale. Convinti che non si poteva continuare a operare in modo puramente emergenziale, affrontando i problemi con azioni frammentarie, ossia senza una visione, abbiamo innanzitutto cercato di capire quale fosse la dimensione della questione. Mettere all’ordine del giorno il Piano di adattamento è stata quindi una scelta responsabile, sulla base della consapevolezza che il cambiamento climatico richiedeva politiche adeguate. A ciò va aggiunta – come ha già detto Diolaiti – l’importante occasione del progetto LIFE, che il Comune ha vinto e che ha consentito di accedere alle risorse finanziarie necessarie. Abbiamo così potuto studiare le criticità del territorio comunale, delineare il nostro profilo climatico, valutare le buone pratiche che già avevamo implementato e formulare una serie di ipotesi d’intervento per mitigare le criticità emerse nella fase ricognitiva.
Definizione del profilo climatico locale, processo partecipativo per delineare il Piano di adattamento, avvio delle azioni pilota e loro monitoraggio, intensa attività di disseminazione per informare i cittadini bolognesi in modo da aumentare la loro consapevolezza sul tema dell’adattamento al cambiamento climatico: queste le varie fasi che hanno connotato il vostro lavoro. Come si è sviluppato il rapporto con la comunità scientifica che vi ha aiutato nell’elaborazione del Piano3?
G.F.: L’ARPAE è stato ovviamente nostro partner principale, non solo nell’analisi dello stato dell’arte e della meteorologia, ma anche nell’elaborazione di scenari climatici. Poi, in corso d’opera, abbiamo coinvolto il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e chiesto a Sergio Castellari – all’epoca responsabile dell’unità di ricerca Relazioni istituzionali e Politiche di adattamento – di assumere la presidenza del comitato scientifico di Blue Up. In tale veste ha presentato al consiglio comunale il lavoro che si stava avviando per sensibilizzarlo ai temi dell’adattamento. Il rapporto con la comunità scientifica è stato importante. Lavorare sulle politiche di adattamento significa porsi domande nuove, che solo in parte trovano delle risposte. Una struttura tecnica come quella comunale, che si occupa del quotidiano, ha dei limiti ben precisi. Grazie alla componente scientifica abbiamo delineato il profilo climatico locale e gli scenari dell’evoluzione del clima nel 2050 (temperatura, precipitazioni, periodi di siccità eccetera). Ci sono anche degli elementi che non siamo ancora riusciti a studiare. Per esempio, com’è distribuito il fenomeno delle isole di calore nell’ambito della città, quali sono le zone più calde e che richiedono analisi più puntuali che non siamo riusciti a programmare. L’interlocuzione con la comunità scientifica è preziosa, perché per il governo delle città servono soluzioni facilmente applicabili.
Quali sono le vulnerabilità che caratterizzano il profilo climatico di Bologna?
R.D.: Siccità e carenza idrica, che il cambiamento climatico accentuerà; gli eventi meteorologici non convenzionali, estremi, che aggraveranno il rischio di frane e alluvioni; l’incremento delle ondate di calore nel periodo estivo, con relativo impatto sanitario, e quindi delle isole di calore urbano. Il Piano individua gli obiettivi al 2025 e descrive le azioni necessarie per raggiungerli, distinguendo quelle di pertinenza del Comune da quelle che competono ad altri soggetti.
Avete coinvolto altre istituzioni e i privati nel vostro Piano?
G.F.: Certo. Nella fase di costruzione c’è stato un ampio coinvolgimento degli stakeholder e nella fase di attuazione l’interlocuzione è continua.
Quando abbiamo avviato il processo di concertazione per il Piano di adattamento si sono presentate numerose persone. La situazione era diversa da quella del PAES, dove sul tema dell’energia la presenza di molti interlocutori era in larga parte favorita dagli incentivi economici, in particolare per il fotovoltaico, e dalla possibilità di valutare il bilancio economico degli interventi.
Per il Piano di adattamento ci siamo detti: «D’accordo, abbiamo le ondate di calore, durante l’estate non piove mai, si verificano sempre più spesso eventi climatici estremi… Da dove possiamo partire?». La ricerca di convergenze su alcuni temi specifici è stato il primo passo. Sul risparmio idrico avevamo lavorato molto in passato in termini di comunicazione e potevamo anche disporre di un tavolo istituzionale gestito dalla Regione perché nel Nord di Bologna d’estate c’è carenza d’acqua, mentre in città si concentrano i maggiori consumi sia per usi civili sia per l’alimentazione dei canali che, se vanno in secca, causano gravi problemi igienici.
Canali?
G.F.: Sì, canali. Bologna non è attraversata da fiumi: il Reno la lambisce nella parte occidentale e un torrente, il Sàvena, la interessa nella parte orientale, vicino ai confini comunali. La città dispone invece di una ricca rete di canali artificiali o di torrenti tombati che attraversano il centro storico e che solo in pochi tratti sono visibili.
Ritorniamo all’acqua, diceva per usi civili, per alimentare i canali…
G.F.: Ci sono anche gli agricoltori che devono poter irrigare le serre, per cui in certi periodi hanno bisogno di una rilevante quantità d’acqua. Non si può togliere troppa acqua dai fiumi perché abbiamo anche responsabilità di presidio ecologico. Nel costruire il Piano uno degli obiettivi che ci siamo posti fin dall’inizio è stato quello di contemperare le esigenze di differenti soggetti. Negli ultimi anni, inoltre, la Regione ha svolto un lavoro molto efficace di coordinamento delle diverse istituzioni, che noi abbiamo sempre incentivato.
Può farci un esempio di coinvolgimento privato?
G.F.: C’è un altro progetto LIFE che sta sviluppando Unipol. Si tratta di DERRIS (DisastEr Risk Reduction InSurance), un toolkit rivolto alle aziende piccole e medie che comprende uno strumento di autovalutazione del rischio climatico, uno strumento finanziario per sostenere le misure di adattamento e un modello pubblico privato per la resilienza4. Per quanto riguarda l’autovalutazione del rischio, una volta compilato un questionario, in base alle risposte, alle mappe predisposte da Unipol e alla posizione dell’azienda si incrociano vari fattori di vulnerabilità, in modo da avere un quadro dei rischi ai quali l’azienda può essere esposta. È prevista una sperimentazione a livello sovracomunale, a Roveri, il principale distretto produttivo artigianale di Bologna. Non è la prima collaborazione con la società di assicurazioni: dati elaborati nell’ambito di Blue Up sono stati integrati alle mappe di rischio idrogeologico che Unipol sta costruendo per la quotazione delle polizze sulle alluvioni.
Si tratta di un progetto di un soggetto privato integrato nel vostro Piano?
G.F.: Abbiamo citato il progetto di Unipol nel nostro Piano di adattamento perché all’epoca era già in fase d’avvio. Il progetto non è nato a Bologna, ma a Torino e Unipol opera a livello nazionale. Noi abbiamo accettato la proposta di avviare un progetto pilota e quindi si integra in questo modo nel Piano. Il rapporto con i soggetti privati è importante perché il Comune, per limitarci a questo caso, non potrebbe preparare in modo efficiente un toolkit per la valutazione del rischio climatico delle aziende. Una società di assicurazioni possiede le competenze necessarie e ha tutto l’interesse a sviluppare prodotti ad hoc. Nella valutazione assicurativa dei rischi dovuti al cambiamento climatico, il nostro ruolo è di facilitare l’incontro tra la società che assicura e il soggetto che ha bisogno della copertura.
Ma il progetto più importante per il coinvolgimento dei privati è GAIA (Green Area Inner City Agreement)5. Realizzato grazie al finanziamento ottenuto dal progetto LIFE+, è oggi parte integrante degli strumenti del Comune di Bologna per ridurre le emissioni di CO2. È diventato cioè un allegato del nostro regolamento comunale del verde.
Di cosa si tratta?
R.D.: Siamo partiti finanziando una ricerca all’IBIMET, l’Istituto di Bio meteorologia del CNR di Bologna. Volevamo capire quali piante mettere a dimora in città che avessero un effetto benefico in termini di assorbimento d’inquinanti nocivi e di CO2, e quindi di mitigazione delle conseguenze del cambiamento climatico. I risultati della ricerca ci hanno permesso di capire quali piante hanno un effetto benefico e quali uno nocivo attraverso l’emissione di sostanze volatili (i Volatile Organic Compounds, VOC), che contribuiscono a incrementare l’inquinamento atmosferico. Oltre al catalogo delle specie arboree da utilizzare per la forestazione urbana, lo studio ha permesso di calcolare l’impronta ecologica delle specie selezionate. Abbiamo scoperto, per esempio, l’effetto nocivo della quercia e quelli benefici dell’olmo, dell’acero e del frassino. Grazie a questo catalogo possiamo programmare in modo efficace la piantumazione urbana. Inoltre, è stato realizzato un toolkit, certificato dalla Fondazione norvegese Det Norske Veritas (DNV), che consente alle aziende di stimare la quantità di CO2 connessa alla loro attività produttiva e, attraverso quest’informazione, di acquisire dei crediti e diminuire, mediante la messa a dimora di alberi, la loro impronta ecologica, in termini di riduzione dell’anidride carbonica riversata sul territorio.
È stato facile o difficile il rapporto con l’Unione Europea per quanto riguarda l’ac cesso ai fondi?
G.F.: Il rapporto con l’Unione Europea non è facile, ma su alcune cose è più facile di quello col governo nazionale. Con le sue politiche nei confronti delle città l’Europa supplisce alle carenze di Roma.
R.D.: Nell’ambito dei progetti europei mi occupo della parte burocratica. Ci sono delle fasi complesse, soprattutto quelle legate alla rendicontazione. Ma senza i progetti europei non saremmo stati in grado di sviluppare il Piano di adattamento. Aver inserito questo strumento in un progetto europeo ci ha agevolato molto, soprattutto per ottenere i finanziamenti e coinvolgere i partner.
G.F.: Il fatto di avere un Piano che illustra e mette in relazione gli interventi programmati significa che, nel momento in cui viene pubblicato un bando nazionale o europeo, l’amministrazione comunale è pronta a competere perché sa quali sono gli investimenti necessari. Questo avvantaggia molto. L’amministrazione sa dove orientare gli investimenti perché il Piano enuclea gli obiettivi prioritari. Per fare un esempio, se attualmente disponiamo di meno acqua, dobbiamo aumentare gli investimenti per ridurre le perdite di rete. Le nostre sono tra le più basse d’Italia, ma non abbiamo ancora raggiunto i livelli delle più virtuose città europee.
Siamo anche stati contattati dalla Banca Europea degli Investimenti che ha reputato interessante il nostro Piano di adattamento. Ha esaminato alcune iniziative relative alla qualità delle acque e per alcune di esse ha finanziato lo studio di fattibilità. Lo scopo è di individuare iniziative bancabili, tramite un prestito a condizioni particolarmente interessanti. Con loro stiamo ragionando su un nuovo prodotto – il National Capital Funding Fa cility (NCFF) – che finanzia interventi infrastrutturali sull’adattamento alle variazioni climatiche dai due ai 15 milioni di euro. Si tratta di un intervento complesso perché riguarda un territorio più ampio di quello comunale.
Quanto è costato il Piano di adattamento?
R.D.: Duecentomila euro, finanziati dal progetto LIFE.
C’è sinergia tra il Piano di adattamento e l’attività di altri settori dell’ammnistra zione comunale?
R.D.: È difficile che da solo un settore dell’amministrazione possa adoperarsi affinché si raggiunga un contenimento del consumo di suolo, gli interventi in collina siano di un certo tipo, gli alberi da abbattere vengano prontamente sostituiti eccetera. Deve esserci sinergia tra tutti i settori dell’amministrazione. Si possono definire le migliori linee guida, che però contengono solo dei suggerimenti, non sono prescrittive. Se vogliamo introdurre elementi prescrittivi dobbiamo interfacciarci con i regolamenti urbanistici del Comune. Una parte degli interventi realizzati nell’ambito del piano di adattamento, e in precedenza nel PAES, è stata recepita dai regolamenti, i quali alla fine costituiscono gli unici strumenti dei quali dispone l’amministrazione per attuare le proprie scelte. Non c’è altro modo per dare concretezza alle azioni.
GAIA: alberi in città
GAIA (acronimo di Green Area Inner City Agreement) è un progetto avviato dal Comune di Bologna (2010-2013) con partner quali IBIMET-CNR (Istituto di Biometeoro logia), Impronta Etica (associazione d’imprese che operano in Emilia-Romagna, attive nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa), Cittilia (che assicura la comunica zione e diffusione dell’iniziativa) e Unindustria di Bologna (che associa più di duemila imprese a livello locale), grazie al finanziamento ottenuto dal programma UE LIFE+.
Obiettivo principale del progetto: contrastare il cambiamento climatico attraverso la piantumazione di alberi sul territorio comunale. In particolare, la messa a dimora in tre anni di almeno tremila alberi equivalenti a novemila tonnellate di CO2 assorbita.
Visto il successo incontrato del progetto, il Comune di Bologna ha deciso nel 2013 di farne uno degli strumenti ordinari dell’amministrazione per ridurre le emissioni di CO2 previste dal PAES.
GAIA ha visto il coinvolgimento attivo delle imprese e delle associazioni del territorio che, attraverso la sottoscrizione di un protocollo d’intesa con il Comune di Bologna, sono state invitate a compensare le proprie emissioni con un contributo per la piantumazione di nuovi alberi in città. A tale proposito è stato costituito un comitato etico, formato dai presidenti dei vari quartieri, con il compito di segnalare aree all’interno del proprio idonee alla piantumazione, verificare che gli alberi venissero effettivamente piantati nelle aree indicate e che l’intero processo fosse trasparente. Le aree selezionate (21) sono di due tipi: parchi urbani collinari e giardini storici.
Il costo totale del progetto, durato tre anni, è stato di 1.200.000 euro. Il Comune di Bologna, attraverso questa iniziativa ha offerto alle imprese uno strumento grazie al quale diminuire la propria «impronta di carbonio» con azioni di compensazione, che genera nel territorio cittadino benefici ambientali e sociali. Il gruppo promotore di GAIA è costituito da: HERA, Manutencoop, ENEL, Aeroporto Guglielmo Marconi, Unipol, La Perla, M. Casale Bauer e Coop Adriatica. Il progetto ha contribuito a definire una metodologia, replicabile anche in altri comuni, per misurare il potenziale assorbimento dei gas serra e altri inquinanti atmosferici (in particolare del PM10) da parte delle diverse specie arboree.
GAIA è stato premiato come il miglior progetto LIFE+ e ha permesso la piantumazione di 1.405 nuovi alberi, corrispondenti a un risparmio di 4.215 tonnellate di CO26.
Fonti: https://www.lifegaia.eu; Bologna città resiliente (Quaderni dell’Urban Center Bologna, Bologna, 2016); GAIA per le città. Linee guida per la replicabilità della partnership GAIA forestazione urbana (disponibile online all’indirizzo https://www.pdc.minambiente. it/sites/default/files/progetti/gaia_lineeguidagaiacitta.pdf).
Fonte/Testo originale: Roberto Diolaiti, Giovanni Fini, Pasquale Alferj ‘Il clima cambia? Bologna ha un piano. Intervista di Pasquale Alferj’ – pubblicato su Equilibri, Fascicolo 2, dicembre 2017, Il Mulino.
Note
- Bologna Local Urban Environment Adaptation Plan for Resilient City è un progetto europeo finanziato dal programma LIFE+, lo strumento finanziario comunitario il cui principale obiettivo è di offrire un sostegno specifico a politiche concrete per ridurre la vulnerabilità della città ad alluvioni, siccità e alle conseguenze del cambiamento climatico. Avviato nel 2012, il progetto si è concluso nell’ottobre del 2015, dopo l’approvazione del Piano di adattamento da parte del consiglio comunale.
- Il Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile è l’iniziativa (Patto dei Sindaci) promossa dalla Commissione Europea nel gennaio del 2008 al fine di coinvolgere in modo attivo le città europee per raggiungere la sostenibilità energetica. Elemento centrale del patto è l’approvazione del PAES, che contiene le azioni che la città adotterà per ridurre le proprie emissioni. Bologna ha approvato il proprio PAES all’inizio del 2013.
- Per una documentazione sul Piano di adattamento climatico, Bologna città resiliente, Quaderni dell’Urban Center Bologna, Bologna, 2016 (disponibile online all’indirizzo: https://www.blueap.eu/ site/il-quaderno-bologna-citta-resiliente).
- https://www.derris.eu.
- https://www.lifegaia.eu; vedi box alle pp. 401-402.
- Dati aggiornati all’aprile 2016.