La transizione lenta del gas

Nonostante il gas produca un livello di emissioni inquinanti inferiori rispetto alle altre fonti fossili, nei prossimi decenni andrà gradatamente sostituito.

Autore

Sergio Vergalli

Data

28 Marzo 2023

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5' di lettura

DATA

28 Marzo 2023

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Prepariamoci un caffè a casa nostra. Posiamo la moka appena preparata sul fornello e poi accendiamo il gas. 

1973, -28°C. Il vento gelido sferza il giaccio delle strade nell’inverno della Russia siberiana nordoccidentale. Nuvole di neve si alzano dal selciato all’incedere di un passante. L’unica persona in tutta la lunga strada bianca. Il pallido sole si staglia timidamente all’orizzonte, già pronto a tramontare. Siamo nel circondario autonomo Jamalo-Nenec, una sessantina di chilometri a sud del Circolo polare artico. Nei pressi di una prigione è appena nata la città di Novyj Urengoj.

Il piccolo centro abitato si sta sviluppando attorno ad il secondo giacimento di gas più grande del mondo nonché primo in Russia, l’Urengoy, scoperto nel 1966. Degli imponenti tubi percorrono la tundra, allontanandosi all’orizzonte. Seguiamoli. Il gasdotto Urengoy-Pomary-Uzhgorod, percorre circa 4500km, passando per l’Ucraina e arrivando quasi in Slovacchia. Da lì il gas, con il Transgas, arriva in Austria per essere immesso nel TAG (Trans Austria Gas) e finalmente arriva in Italia, a Tarvisio, in provincia di Udine. Il viaggio del gas però non è finito, perché, prima di arrivare al nostro fornello, deve immettersi nella rete nazionale, lunga in totale 32000 km, circa 25 volte la lunghezza della nostra penisola. Per muoversi, talvolta è necessario spingere il gas all’interno dei tubi, attraverso diverse turbine, simili a quelle degli aerei. 

Una buona parte del problema è proprio il tubo. Infatti la necessità di avere una infrastruttura rigida per il trasporto della risorsa, crea una serie di effetti economici non banali. Il primo punto è che ogni infrastruttura ramificata e sviluppata a rete, con costi elevati di costruzione (come la rete ferroviaria, telefonica, etc), necessita di enormi risorse di partenza, che solo uno Stato o una grande compagnia possono mettere sul piatto. Gli economisti, in questo caso, parlano di ‘monopolio naturale’, cioè un monopolio che deriva dalla struttura stessa del problema (gli enormi costi iniziali). Dal punto di vista economico ciò crea inevitabili inefficienze. 

Ci sono poi problemi legati al permesso di transito del gasdotto fra Stati differenti che implica necessariamente anche costi ulteriori per il passaggio del gas. L’esistenza del tubo, inoltre, impone vincoli di capacità e scarsa flessibilità: posso aumentare la portata, incrementando la pressione, ma fino ad un certo limite; non posso invece trasportare il gas dove voglio. Inoltre, crea une dipendenza di approvvigionamento che dipende fortemente dal Paese produttore. Quest’ultimo, oltretutto, si avvantaggia delle forti rendite derivanti dalla risorsa sotterranea che ha, una volta sostenuti i lavori di costruzione iniziali, dei bassi costi marginali di produzione. 

Nonostante queste criticità, il gas naturale ha alcune caratteristiche positive. Pur essendo una fonte fossile, viene identificato come ‘combustibile ponte’ per la transizione energetica ed è stato inserito nella tassonomia europea degli investimenti sostenibili. Il punto rilevante è che la transizione, anche per sua stessa definizione, non può essere istantanea, ma graduale. Non si possono chiudere tutti i rubinetti in un istante, altrimenti il sistema economico andrebbe al collasso. Bisogna progredire a passo svelto, ma non a salti, cercando di preservare ed incentivare la crescita economica. Un modo graduale è quindi quello di sostituire le fonti fossili esistenti con rinnovabili, ma anche con fonti fossili a minor impatto ambientale. Infatti, il gas produce un livello di emissioni inquinanti e di anidride carbonica inferiori rispetto alle altre fonti fossili (metà delle emissioni di CO2 di una centrale a carbone). 

Nei prossimi decenni anche il gas andrà gradatamente sostituito e l’infrastruttura di gasdotti potrà essere utilizzata per il passaggio di idrogeno o biometano, come si sta già testando in questi giorni. Bisogna programmare il futuro, senza però perdere di vista il presente e le problematiche attuali di sicurezza energetica, come avremo modo di vedere nei prossimi articoli. 

Novyj Urengoj oggi conta circa 100.000 abitanti che lavorano principalmente per il giacimento. 

Finalmente, dopo un lunghissimo viaggio, il gas è arrivato al nostro fornello. Possiamo accender il fuoco e berci il caffè.

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